MD e la difesa dell'autogoverno.
L'attacco ai principi fondamentali della Costituzioni ed al sistema dei diritti impone a magistratura democratica, nata per difendere e promuovere questi valori, di continuare a riflettere e a lottare per contrastare l'inaccettabile riduzione degli spazi di libertà in atto.
I diritti non solo sono negati, si vuole anche impedire che possano essere fatti valere innanzi ad un giudice indipendente, realmente soggetto alla legge, e prima di tutto alla alla Costituzione, nella consapevolezza che questo giudice costituisce un grave intralcio alla deriva autoriaria.
Se si vuole attaccare la giurisdizione diviene porioritario indebolire la magistratura e, in primo luogo, il suo organo di autogoverno, il CSM, attraverso una azione demolitoria sistematica.
Da un lato riforme legislative che ne riducono il ruolo, come la legge (meglio nota come Legge Carnevale) che impone di riassumere ed anche promuovere i magistrati sospesi per la pendenza di un processo penale e successivamente assolti, dall'altra un'azione quotidiana del Ministro della giustizia diretta ad ampliare i suoi poteri, come dimostrano i ricorrenti conflitti in materia di nomine dei direttivi attraverso "concerti" negati o ritardati.
In questa azione si inserisce a pieno titolo il disegno di legge sull'ordinamento giudiziario, bloccato, però, dal Presidente della Repubblica proprio su norme che ledono i poteri costituzionali del Consiglio.
Proprio sui due punti relativi al consiglio (sui quattro per i quala li legge è stata rinviata alle camere) il Governo e la maggioranza parlamentare siano restii ad introdurre significative modifiche.
Pur parlando il Capo dello Stato di "contrasto palese" con l'art. 134 delle Costituzione della disposizione che attribuisce al Ministro il potere di impugnare innanzi al giudice amministrativo le nomine dei dirigenti degli uffici, si lascia sostanzialmente inalterata tale facoltà.
Nel corso della discussione al Senato il relatore ha chiarito che si vuole attribuire al Ministro il potere di impugnare anche le nomine viziate da eccesso di potere.
E' chiaro il disegno: si vuole attribuire al consiglio la posizione di sorvegliato speciale dell'esecutivo e contestualmente al Ministro un indiscriminato potere di controllo della legittimità sugli atti consiliari che non trova alcun riscontro in altri settori dell'ordinamento in palese contrasto con la Costituzione.
Il Consiglio non si è lasciato intimorire ed ha svolto fino in fondo il suo ruolo sollevando conflitti di attribuzione, presentando pareri in cui ha evidenziato con forza l'incostituzionalità delle norme proposte, assumendo numerose delibere a tutela dell'autonomia ed indipendenza della magistratura.
Un Consiglio unito, almeno nella componente togata, che ha votato in modo compatto decisioni osteggiate spesso dai consiglieri nominati dal Parlamento su designazione dalla Casa delle libertà che, in un'occasione, hanno anche anche fatto mancare il numero legale per impedire che fosse assunta una decisione a loro ed alla maggioranza parlamentare non gradita.
Una componente togata del Consiglio unita, se pur con diverse sensibilità e sfumature, alcune pi decise e determinate altre pi caute, che però non hanno impedito di perseguire il valore dell'unità, essenziale quando si devono tutelare principi fondamentali oggetto di attacco.
Questa unità è però mancata in settori vitali e nevralgici per la funzionalità e la credibilità dell'organo di autogoverno e che rappresentano egualmente valori essenziali da perseguire.
Tutti siamo consapevoli di quanto sia importante per l'efficienza della funzione giurisdizionale e per la tutela dell'autonomia interna ed esterna del magistrato, avere dirigenti competenti e consapevoli del poroprio ruolo di protagonisti del circuito dell'autogoverno.
Nelle nomine dei dirigenti l'unità è mancata, le decisioni ampiamente condivise, sulle quali convergono le diverse sensibilità, sono diminuite progressivamente e sempre pi sono aumentate quelle espresse da una maggioranza che vede convergere i consiglieri di Unicost, MI ed i laici designati dalla cdl.
Pur se le attuali disposizioni prevedono una certa discrezionalità nella scelta dei dirigenti non è accettabile che questo margine consenta valutazioni contrapposte in oltre la metà dei casi e che quelle vincenti appartengano in ampia misura alla stessa maggioranza, tanto da consentire di parlare di vero e proprio "blocco".
Decisioni che mortificano la professionalità, le dimostrate capacità organizzative, le competenze, le intelligenze, decisioni che attribuiscono valore determinante a questo o a quell'argomento, indeboliscono la credibilità del Consiglio, accreditando l'immagine di chi lo vede come luogo che valorizza le appartenenze a prescindere dalle competenze.
Decisioni di questo tipo, spesso contraddittorie, raggiungono effetti devastanti: da un lato aumentano la sfiducia dei magistrati nel proprio organo di autogoverno, dall'altro rischiano di screditare il Consiglio ponendosi oggettivamente in linea col disegno politico oggi in atto di riduzione del suo ruolo e dei suoi poteri.
L'unità della magistratura e dell'intera componente togata del Consiglio per la tutele dell'essenziale valore dell'autonomia ed indipendenza non può frantumarsi così di frequente di fronte ad atti di grande rilievo, ivi comprese le nomine dei dirigenti su cui pure dovrebbe iniziarsi una seria riflessione sui criteri di scelta anche tenendo conto della ridotta presenza delle donne nei ruoli direttivi.
La tutela dell'autonomia non si realizza solo approvando documenti e sollevando conflitti innanzi alla Corte Costituzionale.
L'autonomia e l'indipendenza non sono valori astratti da richiamare solo a tutela delle proprie prerogative, ma sono principi di cui si nutre la magistratura e che si realizzano e si praticano a tutti i livelli.
Come il magistrato nell'esercitare quotidianamente la giurisdizione rende vivi questi valori, assicurando il rispetto dei diritti, così il Consiglio li realizza con i suoi atti e comportamenti.
Un magistrato che nega l'attuazione dei diritti nega in radice il proprio ruolo costituzionale.
Un consiglio che anche con pochi e singoli atti si pone in contrasto con regole che esso stesso si è dato, nega il proprio ruolo.
Tutto questo è chiaro a chi condivide il patrimonio di Magistratura Democratica e pratica quotidianamente i valori che essa rappresenta.
In tutte le sedi, ed anche all'interno del Consiglio la strada da perseguire deve essere quella della testarda ricerca dell'unità, prima di tutto sul rispetto delle regole, pronti comunque a stigmatizzare con forza la violazione di questi valori, senza accondiscendenza alcuna.
Se questo accadrà il Consiglio non sarà pi visto un luogo oscuro in cui vengono assunte decisioni non trasparenti ma come il vero organo rappresentativo di tutti i magistrati.
Perch questo avvenga è anche necessario che ciascun magistrato eserciti e pretenda un controllo del circuito decisionale che opera nel Consiglio e chieda conto delle determinazioni assunte.
Il costituente ha previsto l'autogoverno della magistratura non solo per affrancarla dai controlli dell'esecutivo ma anche perch era fiducioso che i magistrati fossero capaci di governarsi da soli, con l'intervento minoritario dei laici. Capacità di governarsi significa partecipazione, cioè controllo e verifica da parte di tutti. Un Consiglio rispettoso del proprio ruolo e del valore delle regole non può che essere positivamente stimolato dalla conoscibilità e trasparenze delle scelte e dalla partecipazione ampia e continua dei magistrati che rappresenta.
Il rilancio del valore dell'unità e di una sempre maggiore partecipazione dei magistrati non può e non deve avvenire domani, ma oggi; non possiamo aspettare in un momento in cui la nostra credibilità è messa in profonda crisi.
Occorre uno scatto di orgoglio, da subito, da parte di tutti coloro che credono nell'importanza dell'autogoverno, anche locale, una azione concreta che punti al recupero di valori che non possono non essere condivisi.
Valori non solo da affermare ma da praticare nel concreto, nell'azione quotidiana.
Uno scatto di orgoglio che continuerà ad avere ancora come protagonista Magistratura Democratica.
Se sapremo dare vita a questa azione, se ogni magistrato si riconoscerà in questi principi, sarà possibile superare questa fase ed il Consiglio, indipendentemente dalla consistenza delle singole componenti dei laici, assumerà fino in fondo il proprio ruolo istituzionale.
A questo deve tendere la nostra costante ed originale ricerca in cui il rigore e la determinazione dovranno essere capaci di gettare una luce su una istituzione che ne ha assoluto bisogno. Un'istituzione che non sia un labirinto in cui pochi i pochi che conoscono la strada sanno muoversi mentre gli altri sono destinati a pardersi.