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La Costituzione del 1948, "mura di libertà" tra i poteri

Verso il Congresso: la Costituzione del 1948, "mura di libertà" tra i poteri

Tra i tanti temi all'ordine del giorno uno, in particolare, mi pare quello di maggiore spessore e che merita qualche cenno in pi per i riflessi e i pericoli di involuzione autoritaria che contiene, ed è quello delle riforme istituzionali.
Sul tema la sezione del distretto di Bari ha organizzato un convegno nell'ottobre scorso con docenti, avvocati, politici, in cui sono stati ribaditi i punti critici di un disegno riformativo che punta sostanzialmente a marginalizzare i poteri di garanzia rispetto al potere politico.
Quest'ultimo è ormai inteso quale potere avente legittimazione democratica consistente ormai nel binomio Governo-Parlamento, e segnatamente nel Governo quale "comitato direttivo" del Parlamento, per usare i termini del Presidente Onida, il quale ha recentemente ribadito che la Costituzione non si fonda su una visione "assoluta" della sovranità popolare, ma bensì temperata da "forme e limiti" della Costituzione stessa, come ribadisce l'art. 1 Cost. e che costituisce, se così si può dire, il principio dei principi.
Ed invece la riforma istituzionale approvata in prima lettura complessivamente scredita e riduce a ruolo ancillare i poteri di garanzia proprio per svuotarne la funzione di "limiti" alla sovranità popolare da cui derivano Governo e Parlamento, come espressamente indicato dall'art. 1 della Costituzione, o consentendone la "cattura" da parte della maggioranza parlamentare, come nel caso del Presidente della Repubblica e della Corte Costituzionale, o riducendone il ruolo imbrigliandone e gerarchizzandone i ranghi ordinamentali, come è previsto accada per la magistratura con il prossimo ordinamento giudiziario.
Il complesso delle riforme in atto daranno una torsione in senso plebiscitario ed autoritario alla nostra struttura statale, in guisa da renderla irriconoscibile rispetto alle forme attuali, e rispetto alla quale l'epoca della "Costituzione congelata" sembrerà un'epoca felice.
Ma, fatto ancora pi grave, le riforme faranno perdere alla nostra Costituzione il carattere oggi riconosciuto di "base fondamentale per la civile convivenza del Paese", come recentemente ricordato dal Presidente Ciampi in occasione delle manifestazioni del 25 aprile a Milano, perch la riforma è imposta da una sparuta minoranza all'interno della coalizione di governo che ne ha fatto manifesto politico di sopravvivenza, così politicizzando in modo estremo e rendendo di parte il fondamento stesso, l'asse portante della nostra democrazia.
Questo punto di snodo epocale della nostra democrazia non si spiega, se non in modo semplicistico, con l'ossessione da "amministratore unico" che turba chi oggi governa, o con gli appetiti secessionisti di un certo gruppo politico, ma viene da lontano.
Viene dagli anni in cui da destra a sinistra il messaggio era quello della "modernizzazione" degli strumenti istituzionali, in cui la responsabilità delle difficoltà nel governo del Paese erano attribuite al sistema istituzionale piuttosto che alle incapacità della classe politica a farlo funzionare, anni in cui la Costituzione è stata considerata un autentico "ferrovecchio" da mandare al macero, piuttosto che un patrimonio da mantenere integro ed al pi da aggiornare, come ricordato pi volte da esperti come Alessandro Pizzorusso e Gaetano Silvestri.
Ed i problemi che riscontriamo oggi provengono proprio da un mancato e tempestivo intervento integrativo, ad esempio indicando in ambito costituzionale, affianco a quello di ricostituzione del partito fascista, anche il divieto di costituzione di movimenti a sfondo xenofobo e secessionista, o prevedendo in costituzione il divieto di elettorato passivo di soggetti proprietari di mezzi di informazione di qualunque genere e tipologia.
Una ultima annotazione.
Oltre dieci anni fa, Norberto Bobbio, citando un saggio di Michael Walzer, ricordò come il liberalismo è l'arte della separazione, "un universo di mura ciascuna delle quali crea una nuova libertà". Ad esempio, le mura tra Chiesa e Stato da una parte hanno consentito la libertà religiosa, dall'altro la libertà di pensiero e di ricerca scientifica, oltre i dogmi; La separazione tra società civile e potere politico crea la libertà economica e di pensiero; la separazione tra fra vita privata e pubblica crea la sfera della libertà personale. Così la natura specifica del liberalismo, e in particolare del liberalismo sociale cui è ispirata la nostra Carta per la confluenza di pi esperienze ideologiche, può essere compresa soltanto quando lo si considera come "uno strumento atto a prevenire l'uso tirannico del potere", anche quand'esso fosse riconducibile a forme democratiche di origine del potere.
L'unificazione dei poteri politici e dei poteri di garanzia previsto dalla riforma costituzionale in un solo uomo (tanto da far dire al Presidente Elia che si tratterà di un premierato assoluto, e al Presidente Scalfaro che con un premier così onnipotente si è fuori dalla democrazia), nella specie potrebbero assommarsi in capo a chi già riveste una posizione apicale nell'ambito economico-imprenditoriale-mediatico.
Questa eventualità concreta ha nomi notissimi nella teoria politica classica: Tocqueville la chiama dittatura della maggioranza, Montesquieu la chiama, pi semplicemente, dispotismo.
Contro questo dispotismo vestito dalle forme democratiche è necessaria da parte nostra un'opera paziente di "apostolato laico", che sveli alla società civile l'inganno ordito ai suoi danni da chi parla di libertà e democrazia ignorandone e calpestandone i fondamenti, affinchè autentici e indipendenti poteri di garanzia restino i freni del potere politico, quale antidoto a qualunque velleità autoritaria.


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