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Contro ogni rassegnazione

Ai tanti ostacoli che abbiamo davanti, se ne è aggiunto di recente un
altro, pi insidioso e difficile da superare, perchè nasce dal profondo
di tutti noi. E' quel cedimento alla rassegnazione che comincia ad
affiorare ogni tanto e fa dire a qualcuno "basta, se la spiccino loro,
vogliono rovinare la giustizia, prego si accomodino" per mettersi ad
attendere il disastro in rassegnata immobilità.

Anche in associazione c'è stata la posizione di chi ha voluto perseguire
comunque un dialogo finalizzato alla limitazione del danno e quella di
chi spingeva per lasciare al governo per intero la responsabilità di ciò
che si accinge a fare.
Ci ha pensato il governo con la sua maggioranza a toglierci
dall'imbarazzo; dopo aver finto interesse per le nostre ragioni (facendo
suonare finanche le sirene di miglioramenti economici), quando tutti
noi, proprio tutti, abbiamo detto no, quando anche i colleghi della
Cassazione hanno rifiutato, con un mirabile documento, l'impropria e
incostituzionale collocazione al vertice di una magistratura piramidale,
è andato avanti per conto suo, come un carro armato, dimostrando quanto
sinceramente gli interessasse il nostro punto di vista sulla riforma.
Tutti i magistrati hanno detto di no. Mi sono sbagliato. A ben pensare,
non credo, infatti, di poter inserire nella compattezza della categoria
quei colleghi che, senza imbarazzo, occupano posizioni di vertice al
ministero e che hanno collaborato alla stesura di questa follia. La
quale, tra l'altro, prevede per loro soldi e benefici di carriera.
La riforma. Dopo tanto penare non si è ancora capito a che cosa serve.
Se si chiede ai riformatori quale sia lo scopo della riforma, la
risposta che danno è di due tipi: il primo è che "serve per
l'efficienza". Ma noi abbiamo capito bene quale efficienza può portare
questo ginepraio di test attitudinali, corsi, concorsi e valutazioni
continui che il magistrato dovrà affrontare per tutta la sua carriera,
sulla quale vigileranno la bellezza di sette commissioni, e che sarà
affidato pi che al Consiglio superiore, ormai praticamente
commissariato, ad un occhiuto ministero.
Un sistema destinato a paralizzarsi, ma che sicuramente avrà come
effetto immediato la creazione di una categoria di PM-ragazzini in
attesa di passare alla giudicante (l'opposto di quello che si
sbandierava di volere) e lo svilimento delle funzioni giudicanti di
primo grado, ossia di quelle che hanno un contatto pi diretto con i
fatti e con i cittadini.
La seconda risposta che danno è quella che "occorre riequilibrare il
rapporto tra politica e giustizia". Ma se si cerca di attraversare le
pensose espressioni che accompagnano questa banalità, si ha il vuoto pi
assoluto.
Quale sia lo squilibrio non si sa. E' come l'Araba Fenice: che ci sia
ciascun lo dice dove sia nessun lo sa.
Il fatto è che lo scopo inconfessato e inconfessabile, è il controllo di
legalità affidato dalla Costituzione alla magistratura. E così, prima
abbiamo avuto imputati di privatissime vicende che, nell'esercizio di
funzioni pubbliche, si sono scagliati contro i magistrati che su quelle
privatissime vicende indagavano; poi si è avuta la contestazione del
ruolo dei giudici in materia di corruzione e criminalità organizzata;
quindi la sistematica denigrazione di provvedimenti giudiziari e
volgarità di ogni tipo riversate sui magistrati nelle trasmissioni
televisive; prima sui PM, poi sui GIP, poi sui Tribunali e così via.
Infine, quando si sono accorti che non spaccavano la categoria, hanno
attaccato tutto l'ordine giudiziario: si è parlato di interferenze, di
colpo di stato, di guerra civile ed altre simili calunnie, per le quali
nessuno ancora ci ha chiesto scusa. E tutto senza onere di
dimostrazione. Nell'auditel della giustizia nulla si dimostra, nulla si
deve dimostrare, tutto può impunemente essere affermato. E se il
ritornello è stanco poco male, perch la cosa funziona esattamente come
per le pubblicità, fasulle ed insopportabili, ma che alla fine il
prodotto te lo fanno comprare.
Oggi hanno un po' attenuato i toni pi beceri adoperati in passato e
quindi nella attuale semiseria moderazione, non si parla pi di noi come
di una categoria di psicolabili. E' solo un passo ulteriore della
strategia: passati attraverso la fase della delegittimazione dell'ordine
giudiziario, se ne può aggredire la collocazione istituzionale.
C'è, d'altronde, un complessivo programma costituzionale che pure ci
riguarda da vicino. I padri fondatori della costituzione vollero il
pluralismo istituzionale, la separazione e i controlli reciproci tra
poteri. I figli fondatori interpretano i ruoli istituzionali, piuttosto
che come primato delle regole, come rapporto di forza e mirano
all'affermazione di un potere concentrato che, in nome della
rappresentanza popolare, schiaccia le minoranze ed esige una
magistratura ad esso omogenea.
Nella crisi della giustizia, che non riesce a soddisfare le attese dei
cittadini, invece di partire dai diritti e procedere alla ricollocazione
dei poteri, per l'appunto intorno ai diritti, decidendo come si
regolano, come si amministrano, come si proteggono, la prima mossa
invece è quella di riformare il Csm per puro sfregio e organizzare una
magistratura eterodiretta.
Vedremo se le norme che si preparano ad approvare verranno considerate
rispettose dei paletti fermi che la Costituzione pone in materia di
indipendenza della magistratura. Vedremo, anche, come si porranno questo
problema tutte le altre forze politiche; perch ancora qualche notte ci
svegliamo con l'incubo della Bicamerale.
Di fronte a tutto ciò avremmo dovuto tacere? Non siamo stati zitti ed
allora gi contumelie: i magistrati fanno politica ed invadono campi non
propri, sono i veri responsabili della situazione, hanno troppi
privilegi, fanno troppe carcerazioni (di potenti) e troppe scarcerazioni
(di poveracci). A Napoli siamo responsabili perfino della sparizione del
Rolex del senatore Bobbio.
E le riforme che veramente occorrono per accorciare i tempi della
giustizia? La controriforma dell'ordinamento giudiziario galoppa, ma la
commissione per la riforma del codice di procedura penale è stata
nominata e subito cancellata, quella del codice penale avrebbe da tempo
dovuto produrre qualcosa e taccio su tante altre emergenze, come la
destinazione di risorse agli uffici giudiziari.
E il Ministro? Nelle alate parole che ci invia via Arenula c'è sempre
una non celata ostilità nei confronti dell'ANM e dei suoi vertici,
mentre si interessa ad altro, come quando manda i suoi ispettori a
Milano, pretendendo atti processuali in spregio ad una circolare del Csm
ed avvia un'azione disciplinare nei confronti dei magistrati che quella
circolare vogliono rispettare.
A Napoli, dove abbiamo problemi giganteschi e dove non si riesce a far
trasferire il settore civile in un edificio pronto da tempo, che è
costato centinaia di miliardi, trova il tempo di intralciare l'opera del
Csm di rasserenamento della Procura della Repubblica e di tutto
l'ambiente giudiziario partenopeo, prorogando, senza lo straccio di una
motivazione, il trasferimento di ufficio del procuratore.
Forse perch la gestione della Procura, connotata, come ha detto il Csm,
da verticismo e burocratizzazione, anticipa le linee di conduzione degli
uffici requirenti che ci regalerà la riforma.
Sulla questione della procura di Napoli permettetemi di dire ancora una
cosa. Libero ciascuno di dare al concetto di dignità il contenuto che
crede e quindi libero di ritenere dignitoso ciò che sta accadendo.
Ma attenzione, di mezzo c'è il servizio da offrire ai cittadini e se già
siamo scivolati dalla tragedia alla farsa, oggi il rischio è quello di
tornare dalla farsa alla tragedia.
Di fronte a questo complessivo scenario, cosa fare? Innanzitutto
parlare, perch abbiamo il dovere di farlo. Facciamo politica se
parliamo? Ma non avrebbe un significato politico anche il nostro
silenzio?
Dobbiamo accettare che sulla giustizia si metta una croce? Magari una
croce celtica?
In secondo luogo, occorre ancora autocritica. So che non è mancata, ma
va ribadita con pi forza. Va posto con maggiore incisività al nostro
interno, per non concedere alibi a chi ci aggredisce e per essere
credibili, un chiaro discrimine tra chi pratica la correttezza
professionale e chi solo la predica, occorre chiudere definitivamente
con le logiche clientelari nelle nomine dei dirigenti degli uffici, va
tenuta sempre vigile l'attenzione alla questione morale in magistratura,
vanno denunciate inefficienze ed incapacità.
Ma il punto centrale che tutti noi, ed in particolare la nostra
dirigenza, dobbiamo affrontare è quello del contatto con l'esterno, la
sensibilizzazione dell'opinione pubblica.
So che è difficile, perch tutti abbiamo la sensazione che si accetti di
rivolgere lo sguardo alla giustizia solo a condizioni di spettacolarità,
finita la quale il cittadino comune sembra pronto ad archiviare con
annoiata rassegnazione la giustizia tra le cose che non funzionano in
questo paese come le poste, le banche, l'anagrafe. E so che la storia di Cogne resta per la gente infinitamente pi affascinante della questione dell'ordinamento giudiziario.
Ma bisogna provarci, bisogna far capire che interessa a tutti come viene strutturata la magistratura perch la giustizia riguarda tutti. Riguarda chi ha subito un torto, piccolo o grande; riguarda la salute dell'intera popolazione; l'inquinamento del nostro paese; i morti sul lavoro; i minori abbandonati, i giovani sbandati, i tossicodipendenti; tocca gli sfrattati, i disoccupati, i diseredati di ogni genere e i pi grossi benestanti; interessa piccole questioni condominiali come il destino di grandi imprese finanziarie.
Riguarda l' immigrazione, la delinquenza, il lavoro e si dibatte tra
temi complessi come la fecondazione assistita, il carcere, la
corruzione.
E di pi. Nell'attuale temperie mondiale, tremendi problemi gravano
sulla nostra civile convivenza, le guerre e il terrorismo, innanzitutto
e la tendenza e l'illusione di risolvere ogni problema con l'uso della
forza.
Non sarà indifferente, per gli esiti di questa fase storica, quanto
ciascun popolo saprà fare, a partire da s e guardando poi agli altri
popoli, per contrastare l'ideologia della forza ed affermare il primato
dei diritti, delle regole e della giustizia.


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