Pubblicato su Magistratura Democratica (http://old.magistraturademocratica.it/platform)

Uno sciopero per la democrazia

Mi
è accaduto, giorni fa, commentando su queste pagine la
proclamazione dello sciopero dei magistrati, di sottolineare la
connessione tra il tentativo di modificare, con la riforma
dell'ordinamento giudiziario, lo status di giudici e pubblici
ministeri e alcune vicende in atto sulla scena
politico-istituzionale, quali la previsione della punibilità
della tortura solo se "reiterata", l'estensione dell'ambito
della legittima difesa oltre ogni limite di proporzionalità
tra i beni in gioco, la tendenza a risolvere in chiave repressiva
(anziché con la mediazione) il conflitto sociale. Se dubbio
c'era, le dichiarazioni del vicepresidente del consiglio, alla
vigilia dello sciopero, valgono a fugarlo definitivamente. «Le
azioni di alcuni magistrati - ha detto l'on. Fini - gridano vendetta:
vedi la Procura di Genova che ha rinviato a giudizio più
agenti e carabinieri che black bloc e terroristi in erba». C'è
da non crederci. Un ministro della Repubblica giudica le indagini e
le richieste di rinvio a giudizio non in base alle prove emerse (e
raccolte anzitutto dalla polizia giudiziaria) ma secondo la logica
amico/nemico: i fatti non hanno, per lui, alcun rilievo e la
giustizia non serve per accertarli ma per punire i "nemici"
e per garantire l'impunità agli "amici",
indipendentemente dalle responsabilità e dalle prove. C'è
di più. A Genova, nel luglio 2001, nelle scuole Diaz e
Pertini, si verificarono atti di violenza gravissima: lo dimostrano
le fotografie e le immagini diffuse dalle televisioni di tutto il
mondo e l'avvenuto ricovero in ospedale (talora con ferite assai
gravi) di 66 dei 93 giovani presenti all'atto dell'irruzione della
polizia. Noi non ne conosciamo gli autori
e siamo, da sempre, convinti che la presunzione di non colpevolezza
valga per tutti.

Ma
in uno Stato democratico devono essere dei giudici indipendenti e non
il Governo a decidere sull'innocenza o sulla colpevolezza delle
persone e a farlo in applicazione del principio fondamentale del
garantismo: «assolvere in mancanza di prove anche quando
l'opinione comune vorrebbe la condanna e condannare in presenza di
prove anche quando la medesima opinione vorrebbe l'assoluzione».
In uno Stato democratico le regole valgono per tutti (a cominciare da
chi ha responsabilità istituzionali) e la dignità delle
persone, soprattutto se sottoposte alla altrui autorità, è
principio irrinunciabile: «nei confronti della persona privata
della sua libertà il ricorso alla costrizione fisica che non
sia reso strettamente necessario dalla condotta dell'arrestato
sminuisce la dignità umana e costituisce in via di principio
una violazione dell'art. 3 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo» (Corte europea dei diritti
dell'uomo di Strasburgo, sentenza Labita contro Italia del 6 aprile
2000). Se qualcuno aveva dei dubbi, le dichiarazioni del
vicepresidente del Consiglio sono lì a dimostrare perché
si vuole cambiare l'assetto della magistratura e quale magistratura
si vorrebbe. Per raggiungere l'obiettivo tutti i mezzi sono buoni, a
cominciare dall'evocazione di settori della magistratura che agiscono
per fini di parte: lo slogan, ripetuto ossessivamente al fine di
trasformare il falso in verità, è stato rilanciato
dall'on. Fini e, a ruota, dal presidente del Senato, che ha colto l'
occasione dell'anniversario dell'omicidio di Giovanni Falcone per
affermare che «l'autonomia e l'indipendenza della magistratura
non rischiano di cadere solo sotto spinte che vengono da fuori, ma
anche a causa di comportamenti, individuali o di gruppo, assunti
dentro il corpo stesso della magistratura» (sic!). A queste
provocazioni già aveva risposto Piero Calamandrei, ricordando
gli anni bui del fascismo: «Aurelio Sansoni era semplicemente
un giudice giusto: per questo lo chiamavano "rosso" (perché
sempre, tra le tante sofferenze che attendono il giudice giusto, vi è
anche quella di sentirsi accusare, quando non è disposto a
servire una fazione, di essere al servizio della fazione contraria)».

Domani
la magistratura sciopererà.

Sarà
il suo sesto sciopero nella storia repubblicana; il secondo negli
ultimi due anni. Le motivazioni restano quelle del dicembre 1991,
all'epoca della presidenza Cossiga: «per la difesa dell'ordine
costituzionale, per la difesa dell'autonomia e dell'indipendenza
della magistratura, per la difesa del ruolo che la Costituzione
assegna al Consiglio superiore della magistratura, per la dignità
dei magistrati italiani». Sarà - senza retorica - uno
sciopero per la democrazia.

Da
"L'Unità" del 24 maggio 2004


Indirizzo:
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