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Riesame e appello cautelare nell'esperienza del T.L. di Torino: prospettive di riforma

Principio accusatorio, impugnazioni, ragionevole durata del processo:
una riforma necessaria
Sasso Marconi, 12-13 dicembre 2003

Problemi attuali e prospettive di riforma del riesame e dell'appello cautelare alla luce della esperienza del tribunale della libertà torinese
intervento di Franco Giordana

1. Traggo lo spunto per queste riflessioni sia dal tema del convegno organizzato da M.D. a Napoli il 10 ed 11 ottobre 2003 su "La libertà delle persone", che giustamente ricollega la tematica della libertà personale alla crisi in atto, non da ieri, dello stato costituzionale, sia dalla esperienza maturata in circa 3 anni di lavoro, come co-Presidente della sezione del riesame di Torino, di chi da sempre ha lavorato nel settore penale.

2. Due parole solo sul tipo di organizzazione torinese del riesame e sui numeri del lavoro.
A Torino esiste da un po' di anni una sezione del Tribunale - la II - che tratta esclusivamente il riesame e l'appello cautelare, sia personale che reale: sino allo scorso anno in tabella la sezione si avvaleva di 2 Presidenti e 7 giudici.
Da ultimo  stato abolito il posto di 2 o co-Presidente, ma non si  ancora ottenuto in via tabellare la sua sostituzione con un 8 posto di giudice.
Esiste, ovviamente, una cancelleria autonoma, attualmente composta da 1 funzionario di cancelleria, 3 segretari-assistenti e 3 operatori.
Di fatto, la situazione  ora caratterizzata da molte assenze dovute a maternità dei giudici (3 colleghe su 7 giudici sono attualmente in maternità) e quindi per fronteggiare la mole di lavoro si ricorre a continua applicazioni-supplenze di colleghi delle sezioni dibattimentali.
Il distretto di Torino ha - ahimè - ben 17 Tribunali, e corrispondenti Procure, che "producono" continuamente, specie in prossimità dei periodi feriali estivi, di fine anno e delle altre vacanze di una certa consistenza (tipo Pasqua), lavoro per il T.L. dati i tempi tecnici medi fra la emissione-esecuzione delle ordinanze applicative di misure ed i relativi riesami/appelli.
Poi vi è la massa di appelli su provvedimenti di reiezione di istanze difensive in corso di processo, anche nella fase del ricorso per Cassazione avverso sentenze di II grado, talora al limite della definitività del provvedimento decisorio, che ci viene comunicata spesso con ritardo sul suo reale concretarsi.

3. Il lavoro del T.L. di Torino si svolge per circa il 60 % su provvedimenti emessi dalle A.G. torinesi, in primis i GIP, e per il restante 40 % su provvedimenti emessi dalle A.G. degli altri Tribunali che però sono fra loro molto differenziati per "input".
Mentre Tribunali e Procure dei capoluoghi di provincia (nell'ordine decrescente per massa di provvedimenti, Alessandria, Novara, Verbania, Asti, Cuneo, Aosta, Vercelli e Biella) forniscono gran parte del lavoro extra-torinese al T.L., i rimanenti Tribunali (pi o meno in questo ordine decrescente: Alba, Ivrea, Pinerolo, Casale M.to, Mondovì, Tortona, Saluzzo ed Acqui T.) producono in misura molto minore, anche se fra loro differente, con "picchi" dovuti a singoli procedimenti avviati in quelle sedi.
Quanto ai numeri basti citare il totale dei provvedimenti adottati per anno (sia personali che reali), che corrisponde alle relative iscrizioni atteso che, come  noto, i tempi ristretti previsti in materia cautelare non ... consentono, in sostanza, il formarsi di arretrato:

- anno 2000..........................................................................................provv. emessi n. 2630;
- anno 2001..........................................................................................provv. emessi n. 2646;
- anno 2002..........................................................................................provv. emessi n. 2654;
- anno 2003 (al 31 ottobre)..................................................................provv. emessi n. 1885;
Nel numero totale delle decisioni sono da ricomprendere, anche se quantitativamente incidono per poco, le decisioni assunte a seguito di annullamento con rinvio da parte della Cassazione di ordinanze già emesse (la percentuale dei ricorsi in Cassazione si aggira, mediamente, sul 10 %).
Le udienze si tengono, di regola, tutti i giorni dal lunedì al venerdì dalle h. 9 alle h. 14, 15 e anche oltre, (non di rado si termina oltre le h. 16 l'udienza camerale cui segue la camera di consiglio), e per tutto l'anno, compreso, ovviamente il periodo feriale estivo e gli altri periodi sopra indicati prossimi alle altre festività di maggior durata.
Solo in via eccezionale si tiene udienza anche il sabato mattina, in presenza di scadenze dei termini o altri "ingolfamenti" dovuti al protrarsi delle udienze e delle camere di consiglio dei giorni precedenti.
Il numero di riesami/appelli per ogni udienza varia da 10 a 15 ed anche oltre e quindi ogni componente del collegio riferisce, e poi redige, di norma, i provvedimenti decisori per 3-5 ricorsi.
Le assegnazioni dei fascicoli sono eseguite con criterio automatico secondo un turno prestabilito di rotazione di tutti i giudici per le procedure impegnative e complesse per numero di indagati o qualità e natura delle imputazioni (i ricorsi o gli appelli con i cd. faldoni di atti) e in maniera paritaria fra i componenti del collegio (prefissato secondo una tabella mensile redatta il mese precedente dal Presidente in modo da equiparare gli impegni dei singoli giudici), fatte salve, ovviamente, le assegnazioni inerenti la trattazione di posizioni già esaminate o inerenti lo stesso procedimento che, di regola, sono assegnate a chi si era occupato del primo riesame od appello.
Ovviamente la cancelleria deve assicurare la presenza almeno di un responsabile per la ricezione degli atti tutti i giorni (compreso il sabato) dal mattino al pomeriggio inoltrato.

4. I riesami, come  noto, hanno natura interamente devolutiva ed implicano, di conseguenza, la integrale rivisitazione del provvedimento impugnato, a prescindere dalla allegazione dei motivi, molto spesso assolutamente generici, quando non inesistenti.
Ne consegue che, specie per i casi di maggiore rilevanza e per le Difese pi agguerrite e professionalmente qualificate, ogni volta si  in presenza di molteplicità di questioni, processuali e sostanziali, concretamente suscettibili di incidere sulla validità del titolo cautelare, anche in relazione a questioni già ampiamente trattate e risolte dalla giurisprudenza di legittimità e pi volte sottoposte alla attenzione del T.L. (un esempio per tutte: la vexata quaestio delle contestazioni a catena), ovvero con richieste principali e subordinate che, ovviamente, richiedono quasi sempre completa ed analitica trattazione.
E' vero che queste caratteristiche del riesame cautelare (soprattutto personale, ma lo stesso vale anche per quello reale) determinano spesso un trasferimento al T.L. di funzioni (e relativi oneri) istituzionalmente demandati dall'ordinamento processuale al giudice competente a decidere sulle richieste inoltrate dal P.M. ex artt. 291 e 292 C.P.P.
E al riguardo basti richiamare la costante e consolidata giurisprudenza della Cassazione secondo cui il giudice del Riesame  titolare di ampio potere di integrazione delle motivazioni dei giudici di merito investiti delle richieste del P.M.
La conseguenza  che eventuali questioni procedurali inerenti carenze di motivazione della ordinanza impugnata determinano questo tipo di intervento "suppletivo" dell'organo del Riesame.
Con la novella di cui alla legge n. 332/95 sono state aumentate le ipotesi, già nutrite, di nullità formali e sostanziali del provvedimento cautelare (basti pensare alla mancata valutazione degli elementi a favore e a carico dell'indagato, alla omessa valutazione di irrilevanza degli elementi forniti dalla difesa e, in caso di misura restrittiva carceraria, delle concrete e specifiche ragioni in base alle quali si ritiene che le esigenze cautelari non siano altrimenti fronteggiabili, nonch all'obbligo di tenere conto anche del tempo trascorso dalla commissione del reato, nella esposizione delle esigenze cautelari e degli indizi che giustificano in concreto l'applicazione della misura).

5. Non di rado - va detto senza alcun intento polemico nei confronti dei colleghi che applicano le misura cautelari - le ordinanze impugnate contengono una stringata esposizione del fatto ed un generico richiamo agli atti di indagine presentati dal P.M. a supporto della richiesta col corredo, quanto alle esigenze cautelari, alla idoneità e proporzionalità della misura applicata ed alla rilevanza delle allegazioni difensive, di formule di stile polivalenti e spesso generiche.
La conseguenza  che in tutti questi casi l'organo del Riesame  tenuto a svolgere una vera e propria funzione "vicaria" della A.G. che ha applicato la misura, con aggravio dei tempi e delle difficoltà di svolgimento del proprio lavoro.
In questi casi, specie per la valutazione della gravità del quadro indiziario, nei ristrettissimi termini a disposizione, vanno allora integralmente ed analiticamente rivalutati dal giudice del Riesame tutti gli atti di indagine presentati dal P.M., che magari hanno occupato mesi, se non anni, di attività indagatorie.
Naturalmente le cose si complicano enormemente in presenza di pi indagati attinti dalla stessa misura cautelare per una pluralità di fatti o per fatti complessi ed articolati nella loro ideazione ed esecuzione, di fattispecie criminose che richiedono l'analisi di ampio e talora complesso materiale documentale, o anche di delicate valutazioni sulla valenza indiziaria delle fonti orai raccolte (si pensi a tutta la tematica delle audizioni protette di minori abusati sessualmente, spesso corredate di video-riprese che sono da visionare per apprezzare appieno la portata dell'atto).

6. Non minori i problemi in materia di valutazione delle esigenze cautelari e della adeguatezza e proporzionalità della misura applicata in concreto.
Se infatti in molti casi il giudizio di pericolosità specifica sotteso all'applicazione del provvedimento restrittivo può trasparire in modo sufficientemente nitido dalla gravità del reato, dalle specifiche modalità esecutive e dalla personalità dell'indagato (anche alla luce dei suoi precedenti penali e giudiziali), va detto che il sistema esige, nella prospettiva di una adeguata tutela dei diritti di difesa e di libertà individuale, talora compromessi da un uso distorto delle misure cautelari, un vaglio attento della situazione concreta ed una lineare ed esauriente esplicitazione delle ragioni che orientano nella scelta del tipo di misura da applicare, nella ottica fatta propria ab origine dal nuovo codice di rito, ma rimarcata con la novella del 1995, di ridimensionare in modo particolare l'ambito di applicazione della custodia cautelare (sia carceraria che domiciliare), riservandola ai casi di maggiore rilevanza e gravità delle esigenze cautelari.
Al riguardo vanno menzionati i casi, non infrequenti specie nel settore delle manifestazioni di violenza, anche gravissime, determinati da situazioni famigliari o di relazioni interpersonali difficili, di indagati raggiunti da gravi indizi di colpevolezza per reati gravi e di forte impatto ed allarme sociale (omicidi, violenze in genere) con caratteristiche soggettive e comportamentali di segno contrario (come il leale comportamento processuale, la totale incensuratezza, il regolare inserimento sociale e lavorativo ed il buon livello culturale), che circoscrivono notevolmente il rischio di recidivanza specifica di cui alla lettera c) dell'art. 274 C.P.P., presupposto cautelare assolutamente preponderante, se non unico, nei casi in questione.
Troppo spesso in proposito si legge che la gravità (indiscussa) del fatto giustifica ed impone la misura restrittiva di massima afflittività senza ulteriori, doverose, specificazioni che in sede di riesame richiedono analisi attenta e difficili scelte, da attuare, fra l'altro, senza alcun potere "istruttorio" dell'organo del riesame circa la esperibilità in concreto di applicazione di misure diverse ed alternative.
Passando ad altra tipologia di procedimenti va segnalato il ricorso, in casi di ordinanze cautelari emesse contestualmente nei confronti di pi persone coinvolte nella stessa inchiesta, a motivazioni in punto esigenze cautelari formulate cumulativamente, con prevalente se non esclusivo riferimento alle modalità e circostanze dei fatti contestati e conseguente necessità in sede di riesame delle singole posizioni, fra loro spesso molto differenti, di una gravosa funzione integratrice con veri e propri giudizi ex novo, sulla base delle allegazioni delle parti alla udienza camerale, sulla effettiva esistenza delle esigenze cautelari prospettate sommariamente e genericamente nella ordinanza impugnata.

7. Le esigenze cautelari di cui alle lettere a) e b) dello stesso art. 274 (pericolo di inquinamento probatorio e di fuga) hanno subito, come  noto, una riforma legislativa in termini di concretezza ed attualità del pericolo che forse, alla luce del livello medio-alto della criminalità, specie organizzata, presente hic et nunc,  andata al di là dei criteri di ragionevolezza, anche se dettata da comprensibili esigenze di riequilibrio ed argine normativo rispetto ad un uso talvolta disinvolto e sommario di queste categorie concettuali.
Ma ciò esige che anche per queste esigenze cautelari, nei provvedimenti applicativi delle misure la prospettazione concreta sia quanto possibile analitica e specifica, pena il trasferimento anche qui all'organo del Riesame di un compito di ricerca ed analisi, nei ristretti limiti di tempo a disposizione, di spunti utili ad integrare motivazioni generiche e sommarie.

8. Per completare il quadro attuale dello spettro valutativo e motivazionale del T.L. vanno ancora menzionate le elaborazioni giurisprudenziali di legittimità che hanno attribuito all'organo del Riesame il controllo sulla competenza territoriale del giudice procedente, anche se solo in funzione della verifica della effettiva ed improrogabile necessità di salvaguardare le esigenze cautelare ravvisate (che specie nei procedimenti contro pi indagati per pluralità di reati determina problemi di non facile soluzione) e la recente riforma della legge sul giusto processo (legge n. 63/01) con le novità introdotte in punto estensione alla valutazione dei gravi indizi di colpevolezza delle regole probatorie degli artt. 192 c. 3 e 4, 195 c. 7, 203 e 271 c. 1 C.P.P., in materia di dichiarazioni del coindagato, di testimonianza de relato, di notizie provenienti da informatori di P.G. e dai servizi di pubblica sicurezza e di utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni telefoniche ed ambientali.
Per tutte queste problematiche, talora complesse anche solo negli aspetti ricostruttivi in fatto di quanto avvenuto nel corso delle indagini, si  inevitabilmente aperta la strada ad una vasta gamma di eccezioni sulla utilizzabilità di elementi indiziari addotti a fondamento del'applicazione delle misure e desunti dagli atti di indagine presentati al Gip ex art. 291 C.P.P.

9. Per la materia cautelare reale, che in termini quantitativi incide molto meno sul carico di lavoro dell'ufficio, vanno segnalate le recenti posizioni della Corte Suprema, connotate da notevole rigidità nella individuazione dei presupposti cautelari che devono presiedere alla emissione, e all'eventuale conferma in sede di riesame, dei sequestri conservativi e preventivi.
Inoltre  noto che specie nei grossi centri questo tipo di provvedimenti cautelari viene spesso adottato con riferimento a vicende giudiziarie di estrema complessità, inerenti violazioni di leggi penali speciali nelle materie specialistiche pi diverse, nell'ambito delle quali sono contestati non tanto i presupposti fattuali dell'azione penale (che in sede di impugnazione cautelare sono difficilmente contestabili), ma i presupposti in diritto della misura e, in particolare, l'effettiva applicabilità delle norme incriminatrici, relative ad ipotesi delittuose di comune pericolo mediante la frode, di contraffazione di segni distintivi di prodotti industriali, di violazioni in materia urbanistica ed ambientale, di inquinamento e di smaltimento dei rifiuti e altre ancora.

10. Un cenno ancora alle ipotesi, che nel tempo sono venute aumentando di numero (a puntuale smentita della vulgata secondo cui i GIP sarebbero sempre "appiattiti" sulle richieste dei P.M.), di appelli del P.M. contro ordinanze reiettive delle richieste di applicazione di misure cautelari personali.
In questi casi, e particolarmente in presenza di procedimento a carico di pi indagati e per pi fattispecie di reato, l'organo dell'appello cautelare si trova nella stessa posizione del Giudice competente ad emettere il provvedimento rigettato, con l'onere di rivalutare tutti i presupposti indiziari e cautelari addotti dal P.M. a fondamento delle sue richieste, con la particolare conseguenza, della non esecutività immediata del decisum, in caso di accoglimento dell'appello.
Infatti, in ogni caso, da parte delle Difese, viene azionato il ricorso per cassazione e la relativa decisione sopravviene anche a distanza di molti mesi, mentre il procedimento prosegue e registra magari anche già decisioni di merito, ancorch non definitive.
Da ultimo vanno menzionate le non rare ipotesi di appelli diretti ad ottenere la revoca delle misura cautelari ex art. 299 C.P.P., per asserita sopravvenuta mancanza dei gravi indizi di colpevolezza.
Si pensi alla tardiva scoperta di fonti orali o di documenti "a discarico" o anche solo a fisiologiche evoluzioni nella ricerca delle prove, come le audizioni in sede di incidenti probatori di testi già sommariamente sentiti dalla P.G. o dal P.M., la trascrizione peritale, nelle forme dell'incidente probatorio, delle registrazioni di conversazioni telefoniche o ambientali intercettate, in precedenza conosciute solo nelle sommarie trascrizioni di P.G.
In questi casi ad essere rimesso in discussione  spesso l'intero impianto accusatorio e si devono vagliare con frequenza da parte dell'organo dell'appello cautelare voluminose trascrizioni di udienze camerali e/o perizie trascrittive di intercettazioni, in rapporto alle risultanze di indagine già valutate dal giudice al momento della applicazione della misura o dallo stesso organo in sede di riesame del provvedimento applicativo.

11. Non è facile indicare moduli organizzativi di corretta gestione e possibili linee di riforma dell'istituto del riesame e dell'appello cautelare, in una situazione processuale ed ordinamentale che registra di continuo interventi legislativi fra loro privi di coordinamento col tessuto normativo preesistente e nella presente situazione di crisi dello stato costituzionale derivante da indirizzi politici della attuale maggioranza che assecondano una deriva del sistema giustizia per i noti motivi.
Peraltro dobbiamo cercare anche in questa difficile situazione di perseguire con razionalità e fedeltà alla Costituzione un migliore funzionamento dell'istituto, attraverso moduli organizzativi e regole ordinamentali, che tengano conto dei problemi e delle difficoltà di cui ho detto sin qui.
Un primo punto mi pare essenziale, anche se scontato.
La trattazione della materia cautelare deve rispondere per la sua natura ed il tipo di valori in gioco con la massima celerità e correttezza alle esigenze e domande delle parti, senza che questo però possa essere invocato come alibi per una attività svolta con routine, connotata da superficialità e acritico recepimento delle ipotesi accusatorie.
Vanno valorizzati allora al massimo i meccanismi che assicurino trasparenza, effettiva imparzialità ed equidistanza dalle prospettazioni delle parti, possibilità per il collegio di analizzare a fondo tutte le tematiche sulle quali  chiamato a dire la sua nei ristrettissimi termini a disposizione.
Di qui, l'esigenza di trasparenza e rispetto delle tabelle nella formazione dei calendari di udienza e delle composizioni dei collegi, di una distribuzione dei fascicoli il pi possibile automatica e predeterminata fra tutti i componenti dell'organo collegiale che però metta in condizione l'estensore, nei casi di maggiore complessità, di adempiere al suo compito motivazionale senza l'affanno derivante dalla scadenza dei termini per altre procedure (al riguardo, la soluzione del deposito del dispositivo con motivazione differita ha in parte eliminato le maggiori difficoltà) e di moduli organizzativi che, almeno nei casi pi rilevanti, consentano anche agli altri due componenti del collegio di conoscere gli atti a disposizione prima della udienza camerale.
Di grande rilievo il compito del Presidente della sezione e del collegio giudicante: oltre ai normali incombenti organizzativi, vanno incentivate le riunioni periodiche con tutti i componenti della sezione per affrontare tematiche nuove e problemi applicativi o interpretativi che si siano posti nella pratica, precedute dalla circolazione delle decisioni anche al di là dei componenti del collegio interessato al singolo caso.
I moderni mezzi informatici consentono davvero una circolazione quasi in tempo reale dei provvedimenti adottati e la creazione di vere e proprie banche o archivi di sezione sulle questioni a carattere seriale o ripetitivo, ovvero sulle novità che ogni componente deve conoscere, libero poi, ovviamente, ognuno di dissentire dalle decisioni già prese, con il solo onere del confronto e della motivazione specifica.
Dobbiamo al riguardo tener presente che nella situazione data, per le note rigidità introdotte da qualche tempo per l'attribuzione delle funzioni agli uditori, il lavoro del riesame e dell'appello cautelare  uno degli sbocchi immediati di maggiore frequenza, nei Tribunali distrettuali, per i giovani colleghi e costituisce indubbiamente, se svolto in condizioni accettabili e con modalità corrette, una buona palestra per la varietà dei casi da affrontare e la possibilità di verificare il lavoro di diversi colleghi su tutto il territorio del distretto.
Ma quanto detto da ultimo non può diventare un alibi per i Presidenti della sezione o dei collegi giudicanti per sgravarsi delle proprie responsabilità, ovviamente fatte salve le gravose incombenze di direzione e di vigilanza che competono al dirigente della sezione.

12. Altri possibili interventi - sempre a livello organizzativo ed ordinamentale - attengono la materia, solo apparentemente minore, dei rapporti fra l'organo del riesame e dell'appello cautelare e gli uffici giudiziari a quibus e la tormentata questione degli atti da inviare per l'udienza camerale di trattazione del riesame o dell'appello.
Il reticolo distrettuale, nel caso del Piemonte e della Valle d'Aosta particolarmente articolato, impone la massima cura nella vigilanza sul costante funzionamento dei mezzi di comunicazione e trasmissioni atti fra il T.L. ed i diversi uffici giudicanti ed inquirenti, anche nei periodi, per chi lavora al T.L. talora davvero critici, prossimi alle maggiori festività ed alle ferie estive o in presenza di complesse e vaste indagini che registrano di continuo nuove acquisizioni e nuovi provvedimenti cautelari.
Ma dagli uffici a quibus va pretesa una attenzione e cura nella confezione e trasmissione (per qualunque via essa avvenga) degli atti che non sempre  dato registrare.
I tempi ridottissimi a disposizione per lo studio del singolo fascicolo, magari composto da pi faldoni, con masse di atti, verbali e documenti acquisiti nel corso di mesi ed anni di indagine, impongono che le copie trasmesse siano leggibili, complete, con un minimo di ordine e sequenza logica e con un indice che ne agevoli la consultazione, tenendo presente che spesso non  materialmente possibile la loro integrazione in tempo utile.
E nel caso di procedure che si inneschino su "precedenti" già trattati dal T.L., il rinvio agli atti di indagine trasmessi in precedenza deve indicarne con dettaglio la natura e farsi carico della autonomia e specificità delle singole posizioni e del decorso del tempo, in modo da non creare dei "buchi neri" di conoscenza dello sviluppo o della evoluzione delle indagini da parte del malcapitato relatore in sede di riesame o appello cautelare.
Così per la sollecita trasmissione degli atti sopravvenuti, in sede di riesame producibili sino alla udienza camerale, e ciò sia per il P.M. che per i difensori, tenuti entrambi al rispetto di elementari regole di "fair trial" che da noi non sono molto conosciute e soprattutto praticate.
Al riguardo occorrerebbe davvero che i Dirigenti degli uffici giudicanti ed inquirenti, da un lato, ed i Consigli degli Ordini forensi, dall'altro, esercitassero i loro doveri-poteri di vigilanza e di vera e propria corretta informazione e formazione dei rispettivi componenti ed iscritti, concorrendo ad elevarne la sensibilità ed attenzione in ordine ad aspetti e compiti troppo spesso trascurati o delegati ai collaboratori privi di indicazioni specifiche e di reali possibilità di corretta esecuzione di quanto loro richiesto.

13. Sul piano del "costume" e della deontologia, le parti tutte, e in particolare i difensori, vanno richiamati ad uno svolgimento dei rispettivi interventi che tenga conto della reale natura e portata della impugnazione cautelare.
Troppo spesso, magari anche per la presenza in aula degli assistiti, si assiste al tentativo del difensore di trattare il procedimento cautelare come se si fosse in sede di discussione dibattimentale di merito, col richiamo, inverificabile ed inutilizzabile da parte del collegio, ad altre posizioni di coindagati, ad asseriti sviluppi delle indagini e delle acquisizioni probatorie ed indiziarie delle quali non  traccia alcuna negli atti a disposizione, con una serie di subordinate che richiedono analitica trattazione, con la antipatica necessità da parte del Presidente del collegio di intervenire per canalizzare la discussione nei corretti argini della sede propria.
La stessa, sacrosanta, facoltà degli indagati di rendere dichiarazioni al collegio dovrebbe, quantomeno nei casi di difese fiduciarie, evitare il caso non infrequente di ripetizioni di ricostruzioni fattuali già svolte in dettaglio, anche in questi casi costringendo ad interventi del Presidente del collegio, o a dissertazioni fuori tema ed irrilevanti ai fini della verifica cautelare sollecitata.
Senza dire che in caso di appello cautelare gli interventi orali dei difensori, necessariamente da contenere nei limiti già tracciati dai motivi depositati, dovrebbero davvero limitarsi alla illustrazione di aspetti non esaurientemente trattati nei motivi, senza inutili e ridondanti ripetizioni di quanto già scritto e a conoscenza del collegio.

14. A livello ordinamentale mi pare che la soluzione adottata a Torino (stessa sezione che tratta solo la materia cautelare, naturalmente con possibilità di rotazione dei componenti, ragionata e rispondente ad elementari esigenze di funzionalità/specializzazione) sia, nella situazione normativa data, quella preferibile, ma va segnalata la inevitabile "usura" che consegue ad una protratta permanenza del singolo giudice nella sezione del riesame e dell'appello cautelare, derivante anche dai ritmi imposti dal carico di lavoro e dai termini a disposizione.
A me pare che da parte del Dirigente del Tribunale andrebbe favorita al massimo una permanenza media del singolo giudice nella sezione del T.L. non superiore ai 3-4 anni consecutivi, termine che consente da un lato la acquisizione di una buona esperienza e professionalità specifica e, dall'altro, di evitare inevitabili fenomeni di appiattimento in una routine burocratica.

15. A livello normativo, qualche proposta che tenga conto della esperienza e degli aspetti critici di funzionamento dell'istituto.
Se  vero che la tendenza, almeno nei casi di maggiore complessità e rilevanza,  quella di trasformare l'udienza camerale di discussione in una discussione dibattimentale di merito, pur tenendo conto dei rilievi sopra al riguardo formulati, andrebbe rivisto, per un elementare rispetto della par condicio fra le parti e del dovere del giudice di non giudicare inaudita altera parte, almeno per i riesami, il criterio della mera facoltatività della presenza del P.M., con ovvie conseguenze di aggravio dei già pesanti oneri della Accusa, cui forse potrebbe ovviarsi, in parte, consentendo al P.M. che non possa o non intenda intervenire di persona, di depositare motivate conclusioni scritte.
E' poi da studiare se non sia il caso, previa una seria riforma in materia di difesa di ufficio che garantisca la effettività di questa difesa tecnica ad ogni indagato, di imporre, anche per il riesame, almeno la succinta indicazione, contestuale alla richiesta, dei profili che si intendono sottoporre all'organo giudicante cautelare, secondo la fondamentale divisione "gravi indizi di colpevolezza- esigenze cautelari" e la trattazione (salvo integrazioni dovute al "novum"sopravvenuto) dei relativi motivi.
Una novella normativa del genere, da calibrare con attenzione proprio per non accentuare la già abissale differenza fra le ipotesi di difese fiduciarie e quelle d'ufficio, sarebbe un elemento di razionalità e di economia nel giudizio cautelare che verrebbe anche incontro ai ricordati aspetti di gravosità del compito di chi deve prima studiare gli atti e poi decidere in materia.
L'altro tema dibattuto , da tempo, quello della individuazione della sezione competente per il riesame e l'appello cautelare in una articolazione del Tribunale che siede nel capoluogo del distretto, ovvero in una sezione della corrispondente Corte d'Appello.
Un criterio di sistematicità "territoriale" correlato alla competenza distrettuale dell'organo farebbe propendere per la seconda soluzione, anche se recenti modifiche normative ed ordinamentali (da ultimo in materia di competenza per le cause civili in materia di diritto industriale) hanno fatto saltare questa tradizionale corrispondenza e se il discorso andrebbe a toccare il grande tema dell'appello, sia in civile che in penale, e degli opportuni e necessari interventi modificativi.
Resto convinto quindi, con sano realismo, che la soluzione attuale sa da preferire anche se nei Tribunali distrettuali essa viene ad assorbire una quota rilevante (per Torino pari a circa un quinto dei giudici addetti al dibattimento penale) della forza lavoro a disposizione e non  molto...gradita dai giudici dibattimentali.
Un'ultima considerazione.
E' proprio necessario, in caso di appello del P.M. avverso ordinanza del giudice reiettiva di richiesta di applicazione della misura cautelare e di decisione del T.L. di accoglimento dell'appello, con contestuale emissione della ordinanza applicativa della misura stessa, che il provvedimento, ovviamente ricorribile per cassazione, non abbia immediata esecutività, come invece ha il provvedimento emesso dal giudice, per lo pi monocratico, adito in prima battuta dal P.M.?
Si studi e si configuri pure un ricorso per cassazione a tempi rapidissimi e perentori (se non i 10 gg. che il T.L. ha, al massimo 15 o 20 gg. dalla proposizione del ricorso, pena la perdita di efficacia della misura emessa), ma che ragione di sistema, o di altra natura, ha una disciplina come quella attuale?
La soluzione proposta eviterebbe anche la farsa di decisioni della Cassazione che respingono (o dichiarano inammissibile) il ricorso, dopo il citato effetto sospensivo, a distanza di mesi (a Torino abbiamo avuto un caso di decisione della Cassazione dopo 14 mesi dalla pronuncia del T.L.!), portando all'esecuzione di misure quando già, magari, si  tenuto il I grado di giudizio e comunque la situazione cautelare si  del tutto modificata.
Torino, 31 ottobre 2003 Franco Giordana
(ringrazio il collega Pier Giorgio Balestretti, che con me ha condiviso l'esperienza del T.L. a
Torino, per la collaborazione ed il contributo prezioso alla stesura di questo intervento.)


Indirizzo:
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