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Formazione, pluralismo e difesa del Consiglio

1. Il Csm ha avuto, negli anni 90, la grande intuizione e capacità
di cogliere come la formazione iniziale e permanente dei magistrati sia un
terreno strategico su cui investire per migliorare la qualità della
giustizia. I passi in avanti fatti in questi anni sono stati enormi, tali da
situare la formazione italiana al livello di quella dei pi avanzati paesi
europei, nonostante l'Italia sia tra i pochi paesi in cui non è stata
istituita una Scuola della magistratura. Migliaia di magistrati partecipano
ogni anno agli incontri di studio; è stata creata inoltre una struttura
per la formazione decentrata, che tiene iniziative in tutti i distretti e
che consente l'informazione tempestiva e il confronto capillare sulle
novità legislative, le prassi e le giurisprudenze.

2. Uno dei cardini su cui si basa la formazione è il pluralismo
(geografico, professionale, culturale), perch solo il confronto con le
diverse posizioni e gli orientamenti pi vari può far crescere l'autonomia
e la professionalità di ciascuno, realizzando un magistrato colto e
informato. Da sempre il Consiglio Superiore, a differenza di quanto da
taluno affermato in questi giorni, ha garantito, nelle attività di
formazione, la rappresentanza di tutte le diverse voci della cultura
giuridica. Basta, per averne conferma, scorrere l'elenco dei relatori che
negli ultimi anni si sono avvicendati nei corsi centrali e decentrati.

3. La scelta di creare un Comitato Scientifico incaricato di gestire
la formazione sancisce l'autonomia culturale di chi è incaricato di
realizzare in concreto le linee tracciate dal Consiglio Superiore in
materia. La partecipazione all'attività formativa di magistrati, professori
universitari e avvocati provenienti da diverse funzioni, diverse aree
geografiche, diverse esperienze professionali, diversi orientamenti
culturali è il pi chiaro emblema di un pluralismo condiviso e praticato.
Questa promozione del pluralismo va garantita e continuata: non si può
accettare l'idea, che pare oggi affiorare, di una "vigilanza culturale",
di una "formazione sotto tutela", caratterizzata da una sorta di censura sui
contributi dei relatori. Ogni forma (diretta o indiretta) di controllo
preventivo è contraria allo scopo della formazione e viola i principi
costituzionali di libertà di manifestazione del pensiero e di insegnamento:
per questo va riaffermata la possibilità per il docente di sottoporre al
dibattito anche argomenti e tesi non graditi ai colleghi o all'uditorio.
Sono, quelli richiamati, principi che, una volta assicurato il pluralismo
delle posizioni ideali, non tollerano compressione, anche sui temi della
deontologia, dell'organizzazione e dell'ordinamento giudiziario, cioè
sull'"essere" e sul "saper essere" del magistrato. I magistrati, esperti o
neoassunti, non sono cittadini di serie B, da sottoporre a tutela, perch
incapaci di scegliere secondo coscienza quali contributi della dottrina
assecondare, e quali rifiutare. Quotidianamente essi sono chiamati a scelte
di questo tipo e, anche per questo, deve escludersi che debbano essere
"tutelati" con occhiuti interventi censori.

4. La polemica scatenata nei giorni scorsi con riferimento a
una relazione depositata dal prof. Pizzorusso in un incontro di studio per
uditori è del tutto strumentale e si inserisce in un disegno di discredito
del Consiglio superiore e del sistema di formazione dei magistrati
perseguito da numerosi esponenti della maggioranza governativa, in sintonia
con la progettata controriforma dell'ordinamento giudiziario che priva il
Consiglio di significative competenze. Del tutto legittimi, in questa come
in ogni altra occasione, erano dissenso e critiche alle posizioni espresse
dal relatore e alla loro congruità rispetto al tema trattato, ma del tutto
pretestuoso è stato attaccare la politica di formazione del Consiglio e
minacciare addirittura, come taluno ha fatto, dimettendosi dal proprio
incarico, il blocco della attività consiliare. Colpisce e preoccupa il
linciaggio a cui è stato sottoposto uno studioso come il prof. Pizzorusso,
a cui si devono alcuni tra i pi importanti contributi teorici in materia
di ordinamento e organizzazione giudiziaria. E altrettanto allarma la
spregiudicata utilizzazione della minaccia di non partecipare ai lavori del
Consiglio bloccandone il funzionamento. Già una volta, in occasione
dell'approvazione del parere sulla c.d. legge Cirami alcuni consiglieri
laici indicati dall'attuale maggioranza fecero mancare il numero legale. La
reiterazione di un tale comportamento è fuori da ogni logica istituzionale,
che si nutre di differenze e divergenze che devono trovare libera
espressione all'interno del Consiglio.
Il rischio, che va denunciato con fermezza, è quello di un Consiglio
Superiore prigioniero e ostaggio di pochi.

Il comitato esecutivo


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