- Quanto è stato detto prima di me sui temi della Costituzione, dello stato sociale, del panorama internazionale, e adesso da Luigi Ferrajoli mi impone di non ripetere concetti generali su cui mi pare sia emersa una larga convergenza.
Vorrei, allora, partire da una preoccupazione che ha attraversato la gran parte degli interventi che Mi hanno preceduto: quella che sia ormai messa in discussione la possibilità per la magistratura di tutelare i diritti fondamentali di tutti e quelli di ciascuno. E voglio riferirmi ai diritti che molti neppure conoscono (si pensi agli immigrati), a quelli che i singoli non possono difendere da soli, ai diritti che troppi sono disposti a barattare (come il caso Enichem di Marsala ha portato drammaticamente alla luce) o, addirittura, rifiutano perch hanno disimparato a pensare liberamente ed a credere. -
A fronte di questo rischio vedo tre possibili baluardi: a) la Costituzione, che però viene piano piano svuotata e resa sempre pi debole; b) la natura diffusa della giurisdizione, non a caso destinataria di proposte di modifica che mirano a far prevalere i momenti di gerarchia e di concentrazione; c) il C.S.M., che si sta cercando di impoverire nelle prerogative e nelle funzioni e di rendere meno presente.
L’aggressione ai tre “baluardi” appare coordinata e pianificata, con l’evidente obiettivo di rendere la magistratura pi debole, meno libera e pi prevedibile o, se si preferisce, pi controllabile. - Se questo è vero, ciò che dobbiamo fare è difendere la Costituzione, rafforzare il carattere diffuso della giurisdizione e fare del C.S.M. una realtà viva e presente. I tre aspetti sono tra loro intimamente collegati, ma il secondo mi pare, in questo momento, meritevole di un’attenzione particolare: ogni altra possibilità si fonda, infatti, sul libero esercizio quotidiano del “dire diritto” e del riconoscere i diritti e offrire loro tutela, sulla capacità culturale e psicologica dei magistrati di restare intimamente liberi.
- Poco fa il prof. Guarnieri ci ha invitati ad essere nuovi, pi aperti, pi vicini ai cittadini. Credo che questo sia possibile se i magistrati sanno parlare ai cittadini e, soprattutto, sanno ascoltarli e riescono a dare risposta ai loro bisogni.
- Perch questo sia possibile occorre che ogni magistrato senta “suo” l’ufficio in cui opera; ogni magistrato deve volere che il proprio ufficio e quelli ad esso collegati funzionino; deve averne cura e dedicarvi tempo e idee. Solo il sommarsi di tante partecipazioni individuali può fare degli uffici giudiziari e della magistratura una istituzione vitale, reattiva e in grado di adeguarsi al mutare dei bisogni della società. Non è pi tempo, dunque, di magistrati che conoscono esclusivamente la loro stanza, i fascicoli assegnati e i pochi colleghi con cui hanno occasione di collaborare. E’ con preoccupazione che dobbiamo registrare la scarsità numerica e qualitativa delle assemblee negli uffici e delle altre forme di comunicazione. E’ con preoccupazione che registriamo come alla crescita positiva della cultura tabellare si accompagni, paradossalmente, una tendenza maggioritaria e interessarsi delle tabelle solo nella parte in cui il magistrato verifica che abbiano dato risposta alle sue aspettative personali.
- Solo se negli uffici giudiziari la partecipazione dei magistrati saprà essere adeguata potrà realizzarsi l’obiettivo che ciascuno senta come “suo” anche il C.S.M. Perch senza uffici caratterizzati da partecipazione e interesse il Consiglio rischia di rimanere come una casa costruita sulla sabbia.
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Vorrei chiudere queste riflessioni con un esempio dei rischi che possono derivare al sistema da un approccio passivo alla vita degli uffici e dallo scollamento fra questi ultimi e il Consiglio superiore.
Il sistema maggioritario o bipolare tende ad accentuare il ricorso del mondo politico alle logiche di appartenenza ed alle prassi deteriori che portano con s. Questa tendenza, almeno a giudicare dai primi mesi di vita consiliare, non pare lasciare indenni i componenti del Consiglio, sia sotto il profilo del riemergere di spinte corporative sia sotto quello dell’affermarsi di logiche correntizie. Insomma, la vittoria della tattica consiliare come negazione della qualità del servizio giustizia. Non vi è dubbio, infatti, che ogni nomina sbagliata, o addirittura pessima, non rappresenta soltanto un’ingiustizia nei confronti dei magistrati candidati, ma anche, e soprattutto, un danno per la funzionalità dell’ufficio e una risposta inaccettabile alle aspettative dei cittadini
Purtroppo, dobbiamo registrare che alcune volte la logica del risultato ha prevalso in Consiglio sul rispetto delle regole e sulla buona amministrazione. Speriamo di non dovere fra poco registrare che non si è trattato di semplici episodi e che quelle scelte rispondevano ad una strategia tanto utilitaristica quanto ottusa. -
In conclusione, di fronte al panorama politico odierno dobbiamo avere chiaro che una magistratura egoista, corporativa e sorda ai diritti dei cittadini finirà per essere perdente, qualunque siano le soluzioni che verranno in concreto adottate.
Magistratura democratica ha imboccato da anni la strada dell’apertura e del confronto, ha saputo aggiornarsi culturalmente e privilegiare la coerenza dei comportamenti. Credo che questa sia la strada giusta. Adesso occorre tornare a guardare con pi attenzione anche quello che accade negli uffici giudiziari, con una partecipazione consapevole e quotidiana. Occorre un interesse critico, abbandonando le sterili lamentazioni sconfortate di ogni giorno in favore della ricerca di soluzioni condivise ai problemi che abbiamo sotto gli occhi.
Come si dice, occorre “ripartire dal basso” anche al nostro interno.