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QG 4/2009

Sommario

Editoriale: Migranti, nemici, "coatti"

Leggi e istituzioni

Giurisdizione e consenso, di Luigi Ferrajoli
Ghost people. Immigrazione clandestina, tutela della salute e dignità della persona, di Giuseppe Di Chiara
L'Alitalia invece dell'Alitalia, di Luca Baiada
Il processo costituente degli Osservatorî sulla giustizia civile, di Gianfranco Gilardi

Obiettivo. Inamovibilità dei magistrati e governo della istituzione giudiziaria

Il trasferimento d'ufficio dei magistrati fra esigenze organizzative e principio di inamovibilità, di Giampietro Ferri
Il trasferimento per incompatibilità: un istituto in cerca di autore, di Domenico Carcano
L'art. 2 legge guarentigie alla prova del "caso Forleo"
I. Le ragioni e i limiti del trasferimento di ufficio (CSM, 22 luglio 2008, Forleo)
II. Un trasferimento illegittimo (TAR Lazio - sez. I, 8
aprile 2009, pres. Giovannini, est. Caponigro, Forleo
c. CSM)

Magistratura e società

L'Associazione nazionale magistrati ha cent'anni, di
Virginio Rognoni

Osservatorio internazionale

Etienne Bloch, di Salvatore Senese
L'Europa dei diritti e il Sud del mondo, di Franco Ippolito

Giurisprudenza e documenti

1. Il matrimonio tra persone omosessuali davanti alla Corte costituzionale (Ignazio Juan Patrone)
Trib. Venezia, ordinanza 4 febbraio - 3 aprile 2009, pres.
Gionfrida, est. Guerra, M.G. e altro c. Sindaco Venezia
2. Il dissenso del procuratore in tema di misura cautelare
davanti alla Corte di cassazione (Paolo Ferrua)
Cass. - sez. unite, 22 gennaio 2009, pres. Gemelli, est.
Canzio, ric. N.G.G.
3. Norme processuali, garanzie dell'individuo e custodia
cautelare obbligatoria (Raffaello Magi)
Trib. Milano, ordinanza 21 aprile 2009, pres. Piffer, est.
Epidendio
4. Il Consiglio superiore e l'organizzazione delle procure
nel nuovo ordinamento giudiziario (Giuseppe Santalucia)
I. Consiglio superiore magistratura, 5 maggio 2009,
modalità di esercizio dei poteri di avocazione da
parte del procuratore
II. Consiglio superiore magistratura, 5 maggio 2009,
poteri di sostituzione in udienza del procuratore
III.Consiglio superiore magistratura, 5 maggio 2009,
confini di autonomia del sostituto procuratore assegnatario di indagine
5. I giudici, la politica, la Costituzione (Livio Pepino)
Corte cost., sentenza 8-17 luglio 2009, n. 224, pres.
Amirante, red. Maddalena
6. Contro l'introduzione dei reati di ingresso e soggiorno
illegale dei migranti

Editoriale

Migranti, nemici, "coatti" 

La promulgazione preoccupata da parte del capo dello Stato (istituto inedito, affidato a una lettera presidenziale in cui si sottolinea la «rilevante criticità» di alcune previsioni della legge promulgata e si auspica una «rinnovata riflessione» sul punto) non basta a incrinare lo strappo inferto al sistema dalla legge n. 94/2009, vera chiave di volta di un nuovo
corso politico e non solo ennesimo "pacchetto sicurezza" di sicura demagogia e di dubbia efficacia. Certo ci sono, in quel testo normativo, gli ingredienti di sempre: nuovi reati (con ripristino finanche del delitto di oltraggio a pubblico ufficiale, indicatore, dalla legge Pica del 1863 in poi, di ogni svolta autoritaria), inasprimenti di pena (ovviamente solo per alcuni, come i graffitari destinatari - grazie a una sapiente ombinazione di norme - di un trattamento per certi aspetti più grave di quello riservato a corrotti e corruttori), accentramento e gerarchizzazione degli uffici giudiziari (con attribuzione al Tribunale di sorveglianza di Roma del controllo sulla applicazione dell'art. 41 bis dell'ordinamento penitenziario in tutti gli istituti penitenziari del Paese) e via elencando sulla strada, ormai percorsa in modo eclatante, della divaricazione tra il "codice dei briganti" e quello dei "galantuomini". Ma questa volta c'è ben di più.
C'è, da un lato, una ulteriore escalation della normativa contro i migranti (che incide direttamente sulla sfera della libertà personale e dei suoi presìdi e sovverte istituti classici del diritto penale) e, dall'altro, il trasferimento ai privati - con l'istituzione delle "ronde" - di attribuzioni in materia di sicurezza che il nostro sistema costituzionale vuole affidate in via esclusiva all'autorità pubblica. Torneremo sul punto con interventi specifici, ma le ricadute della normativa su princìpi e valori fondamentali del nostro assetto costituzionale impongono sin d'ora alcune considerazioni.
Un decennio di proibizionismo non ha impedito né limitato l'immigrazione.
L'impossibilità per il migrante privo di titolo di soggiorno di regolarizzare in itinere la propria posizione, a sua volta, ha aumentato in maniera esponenziale - come ovvio - le situazioni di irregolarità. Il "braccio armato" per fronteggiare (o fingere di fronteggiare) tale situazione è stato, all'inizio, il meccanismo delle espulsioni rafforzato dal trattenimento di una quota di irregolari nei Centri di accoglienza e permanenza temporanea. Ma anche questo non è bastato; non poteva bastare.
Così vengono ora messe in campo una inedita (almeno in questi termini) detenzione amministrativa e una profonda torsione del diritto penale (incentrata sulla previsione del reato di "immigrazione irregolare").
L'estensione sino a sei mesi della possibilità di rattenimento coatto dei migranti irregolari in centri ad hoc, modificati nel nome ma non nella sostanza e strutturati come istituti penitenziari, ha una valenza qualitativa oltre che quantitativa. Se, infatti, un trattenimento di poche ore o di pochi giorni poteva, almeno in astratto, essere considerato solo uno strumento per rendere possibile l'espulsione, la sua protrazione per mesi - congiunta con la ripetibilità - ne esclude ogni rapporto funzionale con l'allontanamento e lo configura come veicolo di isolamento e come sanzione tout court. Siamo, appunto, alla detenzione amministrativa, affine, nei contenuti, a quella penale ma estranea al circuito giudiziario e processuale disegnato dagli articoli 13, 24, 25 e 27 Costituzione.
Da oggi nel nostro sistema la libertà dei migranti vale meno di quella dei nativi; e la memoria storica ci riporta ai "coatti", cioè ai soggetti pericolosi (per ragioni sociali o politiche) sottoposti, nella seconda metà dell'Ottocento, al domicilio coatto in vere e proprie colonie penali (istituite - paradosso o ironia della storia - in isole come Lampedusa e addirittura in Africa, nelle caserme di Assab...). Inutile aggiungere che non consola il fatto che ciò sia condiviso dall'Europa.
Il diritto penale, a sua volta e parallelamente, assume una nuova curvatura: non contro il migrante che delinque ma contro il migrante in quanto tale (anche qui in singolare analogia con la repressione penale delle "classi pericolose"). Con l'introduzione del reato di "immigrazione irregolare", infatti, non si punisce - come nel diritto penale classico - un fatto ma una condizione personale: è, secondo una acuta definizione, «il migrante che diventa reato». Inutile minimizzare con il rilievo che il reato prevede come sanzione la sola ammenda, quasi si trattasse di un semplice proclama. La nuova fattispecie è, infatti, il tassello centrale di un mosaico inquietante. In particolare:
a) il reato si aggiunge alla detenzione amministrativa e con essa si integra e si sostiene;
b) l'esistenza del reato vale a legittimare, a fronte degli altrimenti evidenti profili di incostituzionalità, la cosiddetta aggravante della irregolarità, introdotta con la legge n. 125/2008, in forza della quale ove un reato sia commesso da uno straniero privo di titolo di soggiorno la pena è aumentata di un terzo;
c) la criminalizzazione dello status di irregolare porta con sé conseguenze gravissime per la vita del migrante privo di titolo di soggiorno, tra cui l'impossibilità di sanare la propria posizione anche in caso di sopravvenienza delle condizioni che astrattamente lo consentirebbero, l'accresciuta difficoltà di accedere in concreto ad alcuni servizi pubblici essenziali (anche in tema di sanità) date le incertezze interpretative determinate dal conflitto tra la previsione dell'art. 35, comma 5, t.u. immigrazione (secondo cui «l'accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all'autorità») e il generale obbligo di denuncia di reato gravante sul pubblico ufficiale che tali servizi deve erogare, l'impossibilità di contrarre matrimonio e, addirittura, di riconoscere i figli essendo richiesta per il compimento di tali atti - almeno secondo l'interpretazione più rigorosa - la esibizione all'ufficio dello stato civile del titolo di soggiorno.
Da ciò emerge sistema complessivo teso a realizzare, ben oltre l'intervento penale, una condizione permanente di inferiorità del migrante irregolare: considerato a ogni effetto "un delinquente", assoggettabile ad libitum a detenzione amministrativa per mesi, privato della possibilità di regolarizzare la propria posizione, espropriato di alcuni diritti fondamentali (che, come tali, competono a tutti e non ai soli cittadini). Così si porta a compimento il disegno di considerare il migrante un nemico da cacciare e, ove ciò non sia possibile (sappiamo tutti - e il Governo per primo - che l'immigrazione non si cancella con le espulsioni...), un cittadino inferiore, titolare di diritti dimezzati. È un salto di qualità epocale, ché la modernità ha come segno caratterizzante, nel diritto, l'uguaglianza dei cittadini mentre la nuova condizione giuridica dello straniero riporta a situazioni pre-moderne caratterizzate da un doppio livello di cittadinanza, come quella dell'antica Atene in cui la piena partecipazione dei cittadini era assicurata dalla mancanza di diritti dei meteci.

* * *
«I sindaci, previa intesa con il prefetto, possono avvalersi della collaborazione di associazioni tra cittadini non armati al fine di segnalare alle Forze di Polizia dello Stato o locali eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale»: sono le ronde, destinate a coadiuvare lo Stato nella lotta ai "nuovi nemici", esterni e interni, con competenze estese sino al contrasto del «disagio sociale» (sic!). L'impropria attribuzione a privati di compiti e poteri pubblici è evidente e aggravata dalla genericità che ne caratterizza l'estensione e dalla labilità dei requisiti richiesti per far parte delle associazioni ausiliarie.
Lo aveva detto con largo anticipo il Consiglio superiore della magistratura nel parere 2 aprile 2009 sul decreto legge n. 11/2009 (in cui, per la prima volta, compariva l'istituto, poi stralciato e, quindi, nuovamente ripreso nella legge n. 94): «L'elevato tasso di discrezionalità, già insito nella segnalazione di un danno solo potenziale alla sicurezza urbana, diventa ancora più ampio con riferimento alle situazioni di disagio sociale, espressione talmente generica da poter giustificare le segnalazioni più disparate su questioni che non rientrano nella tutela della sicurezza e non sono di competenza delle forze dell'ordine» e, ancora, «ulteriori perplessità (...) sono provocate dalla genericità e dalle lacune contenute nel testo del decreto legge. Basti pensare alla mancata previsione che le associazioni non debbano avere né natura né finalità di ordine politico (...); all'assenza di ogni requisito negativo, preclusivo della partecipazione alle associazioni, come quelli di essere stati condannati per reati di violenza o per il compimento di atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; (...) al fatto che la doverosa precisazione che i cittadini debbano essere "non armati" non è tale da fugare ogni dubbio sull'utilizzazione di strumenti, non definibili armi in senso proprio, ma comunque atti a offendere e a compiere atti di coercizione fisica».
Anche in questo caso ogni minimizzazione sarebbe fuor di luogo: le ronde hanno, allo stato, competenze limitate ma guai a considerarle innocue imitazioni dei boy scout. Il secolo appena concluso ha mostrato al mondo la rapida e drammatica evoluzione di strutture analoghe in braccio armato di politiche autoritarie e razziste; e la cosiddetta esternalizzazione dell'uso della forza (già praticata, sul piano interno, con il massiccio utilizzo di vigilantes in compiti di sicurezza e, su quello internazionale, con l'impiego, finanche in operazioni di guerra o di peace keeping, di moderni mercenari arruolati come contractors) finisce per negare la funzione stessa dello Stato di diritto, che di tale uso deve avere il monopolio e il controllo.


Indirizzo:
http://old.magistraturademocratica.it/platform/2010/03/22/qg-4-2009