La recente approvazione da parte del Senato dell'emendamento che consente
agli operatori delle strutture sanitarie di segnalare la presenza sul nostro
territorio di persone straniere non in regola con il permesso di soggiorno,
è questione che coinvolge anche la giustizia minorile e della famiglia in
quanto tocca i diritti fondamentali della persona.
La nostra Costituzione riconosce la tutela della salute come
fondamentale diritto dell'individuo (e quindi non solo del cittadino) e
interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti
(art. 32).
A questi principi si è ispirato anche il D.L.vo n. 286 del 25 luglio 1998,
recepito dalla legge Bossi-Fini, che all'art. 35 dispone che "ai cittadini
stranieri presenti sul territorio nazionale, non in regola con le norme
relative all'ingresso ed al soggiorno, sono assicurate, nei presidi pubblici
ed accreditati, le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque
essenziali, ancorché continuative, per malattia ed infortunio e sono estesi
i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e
collettiva" ed ancora prevede che "l'accesso alle strutture sanitarie da
parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può
comportare alcun tipo di segnalazione all'autorità, salvo i casi in cui sia
obbligatorio il referto, a parità di condizioni con i cittadini italiani".
Tale ultima disposizione è univoca nel bilanciare il diritto alla salute,
quale diritto del singolo e della collettività, con il diritto alla
sicurezza dei cittadini, prevedendo che l' obbligo di denuncia per fatti
di reato, da parte di coloro che non svolgono funzioni di polizia ma la
professione sanitaria, sia vincolato al principio di uguaglianza tra
cittadini stranieri e cittadini italiani e sia limitato soltanto ai casi
che possano presentare i caratteri di un delitto per il quale si debba
procedere d'ufficio ( v. art. 365 c.p.).
Non appare quindi coerente con questo sistema neppure "la possibilità " che
il sanitario segnali all'autorità la presenza di clandestini che abbiano
fatto ricorso alle sue cure, attribuendo al sanitario un doppio ruolo
lacerante di cui già il legislatore si è fatto carico nel formulare la
riserva di cui all'ultimo comma dell'art. 365 cp. Tale inciso prevede
infatti che l'obbligo di referto nei casi di delitti procedibili d'ufficio
"non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a
procedimento penale".
La malattia , la necessità di cure , la salvaguardia in via preventiva della
salute del singolo e della collettività (ivi compresi i cittadini italiani
che altrimenti non potrebbero prevenire e fronteggiare il rischio di
contagio di malattie anche gravissime) riguardano la persona universalmente
intesa nella sua condizione esistenziale.
E' un diritto riconosciuto alla persona non per l'appartenenza ad un
territorio nazionale o per il suo status civitatis ma soltanto per la
salvaguardia della sua condizione psico-fisica.
Nella famiglia e nella gestione delle relazioni familiari il diritto-dovere
alla cura è una delle espressioni più significative del principio di
responsabilità a cui si ispirano ormai le decisioni giurisdizionali e trova
pieno riconoscimento nelle convenzioni internazionali e nei regolamenti
europei.
Il principio di responsabilità qualifica il rapporto umano ed impone a chi
ha l'obbligo di tutela, di assistenza e di cura (come, ad esempio, i
genitori nei confronti dei figli) l'uniforme osservanza delle regole
essenziali per la sopravvivenza , nel senso letterale del termine.
La responsabilità non può essere sconfessata dalla paura e la paura non ha
mai rassicurato o dato sicurezza ad alcuno, generando soltanto lotte ed
iniquità tra deboli e forti e mortificando comunque l'individuo.
Roma, l'8 febbraio 2009
Il Segretario generale Il
Presidente
Joseph Moyersoen
Laura Laera