Pubblicato su Magistratura Democratica (http://old.magistraturademocratica.it/platform)

La giustizia è vista più come un potere che come un servizio

La giustizia in Italia? Più carte produce e meno giustizia realizza. Ed è così per l'intera struttura giudiziaria. Dalla base sino al vertice.

La Cassazione sforna ogni anno un numero enorme di sentenze , incomparabile al ristretto numero di decisioni di altre Corti europee. Ma proprio la crescita vertiginosa delle decisioni allontana irrimediabilmente la realizzazione dello scopo principale di un giudice supremo: garantire la certezza del diritto e la sua uniforme applicazione.

A loro volta Procure e Tribunali penali macinano - talora alacremente, talora stancamente - procedimenti scanditi da formalità sempre più complicate. Una estenuante ginnastica, o, se si preferisce, una estenuante corsa contro il tempo che non riesce ad evitare, soprattutto nei processi più complessi e per i fatti più gravi, l'inglorioso capitombolo finale della prescrizione.

Per altro verso la giungla di "riti" diversi che caratterizza la giurisdizione civile crea , sin dall'atto iniziale dei processi , dilemmi e contrasti, mentre stentano a decollare efficaci meccanismi di conciliazione e di risoluzione extragiudiziale delle cause civili.

In questi anni la produttività dei magistrati è decisamente aumentata, come attesta il Libro verde sulla spesa pubblica. E si sono moltiplicati gli sforzi dei "volenterosi" - magistrati ed avvocati - che cercano di arginare il disastro puntando sulle buone prassi e sulla programmazione concordata dei lavori processuali. Eppure l'impegno profuso dagli addetti ai lavori per recuperare efficienza e restituire dignità al lavoro nelle aule di giustizia non può, da solo, colmare il vuoto che la politica ha creato intorno alla giurisdizione. Vuoto di interventi legislativi razionali sul processo, vuoto di innovazione e di investimenti sulle tecnologie, vuoto di provvedimenti seri sull'organizzazione, sul turn over e sulla riqualificazione del personale amministrativo. .

I leaders politici che, sulle colonne di questo giornale, hanno esposto i loro progetti per la giustizia si mostrano consapevoli di essere al cospetto di una grande ammalata, debilitata da anni di incuria. E spesso prescrivono rimedi efficaci, colpevolmente ignorati negli ultimi quindici anni.

Secondo Veltroni, Casini, Boselli occorre "semplificare" il processo, "riorganizzare" la macchina giudiziaria, "ridisegnare" la distribuzione degli uffici sul territorio; anche se purtroppo essi non spiegano come intendano vincere i campanilismi che sinora sono immancabilmente riusciti a mantenere in vita tanti piccoli tribunali poco utili, con carichi di lavoro incomparabili a quelli delle grandi città.

Diverso il registro di Daniela Santanchè, principalmente preoccupata di illustrare le sue convinzioni sulla sicurezza , sui clandestini, sul fondamentalismo di matrice islamica.

Misterioso, infine , il silenzio serbato dai leaders del Popolo delle libertà, sinora estraniatisi da questo confronto; un malpensante potrebbe dedurne che , invece di enunciare programmi, si preferirà navigare a vista e scegliere la rotta da seguire in base a considerazioni di opportunità o ad interessi "particolari" se non "particolarissimi".

Un dato, comunque, emerge con nettezza nel dialogo a distanza tra gli esponenti della politica.

Affrontare seriamente il tema della giustizia come "servizio" è assai più arduo e complesso che non incrociare le armi sul terreno della giustizia come "potere". E di fronte alle difficoltà di ricostruire pazientemente un tessuto istituzionale in tanti punti danneggiato potrebbe divenire assai forte la tentazione di imboccare una scorciatoia e di ricollocare al centro dell'agone politico la riscrittura dello statuto della magistratura.

All'indomani di una radicale riforma dell'ordinamento giudiziario questa scelta sarebbe uno schiaffo al pragmatismo insistentemente proclamato e soprattutto un segnale di disinteresse ai bisogni concreti dei cittadini, che aspettano ancora la realizzazione della promessa costituzionale della ragionevole durata dei processi.

Ad oggi Veltroni e Casini , nonostante alcune ambiguità, non sembrano intenzionati a seguire questa linea di condotta che traspare invece con chiarezza dalle dichiarazioni di intenti di Boselli e della Santanchè ( ed ancora più dagli orientamenti dell'on. Silvio Berlusconi e da quelli espressi da Alleanza Nazionale in un recente convegno).

Se il pendolo oscillasse in quest'ultima direzione, la priorità del prossimo futuro sarebbe l'ennesima "riforma della magistratura" e non l'attesa " riforma della giustizia". Come a dire che si ricomincerebbe a discutere - appassionatamente , infinitamente - della separazione delle carriere, della composizione del CSM, della responsabilità dei magistrati, mentre nelle aule di giustizia crescerebbero le difficoltà materiali, le carenze , le disfunzioni e con esse il vortice di carte improduttive ed i tempi della giustizia.

Non sarebbe un titolo di merito per una classe politica in vistosa crisi di credibilità e di rappresentatività e per un parlamento che - per essere il parlamento dei "nominati" più che degli eletti - può aspirare ad un autonoma legittimazione solo sintonizzandosi effettivamente con le esigenze reali delle donne e degli uomini di questo paese.

Nello Rossi

 


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