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Politica e terzo potere. La lezione di Giuseppe Borrè*

Sommario



Leggi e istituzioni


Quale giudice dopo la riforma dell'ordinamento giudiziario?, di Livio Pepino
Spunti sulle valutazioni di professionalità dei capi degli uffici di procura, di Vito Monetti
Logiche di esclusione e di inclusione nella politica criminale sulla immigrazione, di Marco Pelissero
L'affidamento condiviso un anno dopo: un primo (provvisorio) bilancio, di Elisa Ceccarelli
Un unico giudice anche per i figli di genitori non coniugati, di Maria Grazia Domanico

Il punto su...

Stato laico e interventismo della Chiesa. Conversazione tra Enzo Bianchi e Gustavo Zagrebelsky, con introduzione di Pier Luigi Zanchetta

Dibattito. Voglia di azioni collettive Forum con Guido Alpa, Remo Caponi, Giuseppe Carriero,Giorgio Costantino, Paolo Martinello, Raffaele Sabatoa cura di Gianfranco Gilardi

Giurisdizione e sicurezza: cosa succede in città?

Il caso Napoli, di Alessandro Pennasilico
La confisca dei patrimoni della camorra. Un'indifferibile, dimenticata priorità, di Enzo Lomonte

Magistratura e società
In ricordo di Paolo Borsellino, di Nello Rossi

Osservatorio internazionale
Arringa per un pubblico ministero indipendente (un progetto per l'ordinamento della Repubblica Federale di Germania), a cura della Neue RichterVereinigung

Giurisprudenza e documenti
1. La recidiva tra indirizzi interpretativi e tendenze della politica criminale (Angelo Caputo)
Corte costituzionale, sentenza 5 - 14 giugno 2007 n. 192, pres. Bile, est. Flick
2. Bullismo, mezzi di correzione, intervento penale (Marco Bouchard)
Tribunale Palermo - giudice per le indagini preliminari, 27 giugno 2007, giud. Morosini, imp. BR
3. Come eravamo. Le prime indagini sull'eversione di destra alla Procura di Roma (Betta Cesqui)
Consiglio superiore della magistratura - I Commissione referente, 13 giugno 1980, audizione del Mario Amato, sostituto procuratore in Roma
4. Il Sismi, la democrazia, i magistrati
Risoluzione 4 luglio 2007 del Consiglio superiore della magistratura

 

Editoriale

Sono ormai trascorsi dieci anni dalla scomparsa di Giuseppe Borrè. Un grande magistrato, appartenente a quella ristrettissima schiera che, nei pur diversi contesti storici della modernità, riesce a incarnare i valori più alti della funzione del giudice sottraendoli al rischio, sempre più forte, della retorica e dell'usura. Un giurista di grande rigore. Un intellettuale di assoluta indipendenza e di straordinario impegno. Un docente lucido e pieno di abnegazione verso gli allievi.
La sua cultura e la sua sensibilità lo portarono a vivere le sfide del suo tempo ed a identificare i compiti e la ragion d'essere della giurisdizione, e del diritto, nella difesa del più debole e nell'attuazione dello Stato demo-cratico di diritto; l'una e l'altra sentite come indissolubili e avvertite come dimensione essenziale della responsabilità del giudice e del giurista. Questo suo modo di concepire, e vivere, il ruolo di giudice e di giurista derivava dalla sua cultura ma, ancor più in profondità, dalla sua visione severa (ma mai arcigna) della vita, che lo induceva a porre al centro dei suoi rap-porti con gli altri il senso di responsabilità. Che lo portava, del tutto naturalmente, all'impegno nelle forme e nei modi più consoni alla sua cultura e alla sua professione. Nulla gli era più estraneo che la dolce e pigra consolazione del deprecare senza impegnarsi per modificare lo stato di cose oggetto della deprecazione. Non per nulla nella pratica professionale, non meno che nella riflessione scientifica, fu sempre forte in lui la preoccupazione di fare tutto il possibile perché chi ha ragione la ottenga nel più bre-ve tempo possibile.
Fu dunque naturale ritrovarsi tra i fondatori di Magistratura democratica in un momento in cui - per dirla con le sue parole - «la cultura giudiziaria era dominata dal conformismo, l'ordinamento giuridico era conside-rato autoreferenziale, la legge ordinaria era avvertita come unico e definitivo termine di riferimento» e la Costituzione - «che costringeva ai confronti, a mettere in discussione assetti, certezze, regole del gioco » - era avvertita come una pericolosa tentazione. Di Magistratura democratica divenne apprezzato dirigente e, per circa dieci anni, presidente ascoltato e prestigioso.
E in questa impresa collettiva egli diede, forse, il meglio di sé, esercitando un magistero che era la sintesi del raro combinarsi delle sue doti: la sapienza giuridica e l'attenzione verso l'altro, l'apertura al dialogo, la fantasia (chi ha detto che essa non serva al giurista?), il rigore intellettuale, la capacità di non intestardirsi nelle proprie posizioni (la cocciutaggine gli era del tutto ignota). Qualità necessarie per fare dell'esperienza di Magistratura democratica un'impresa permanente di pedagogia collettiva. Giacché, come soleva ripetere, un'elaborazione culturale diuturna era, unitamente al rigore professionale, condizione indispensabile per l'impegno che il gruppo aveva scelto, tra i cui obiettivi rilievo centrale assumeva la demistificazione della trama dei tanti luoghi comuni che disegnavano l'orizzonte di una magistratura conformista. A cominciare dal mito dell'apoliticità come condizione dell'indipendenza, al quale egli contrapponeva efficacemente la «politicità-indipendenza », chiarendo: «la magistratura è politica proprio perché è indipendente dagli altri poteri dello Stato. Il suo essere indipendente non la colloca in un "altro" universo (pretesamene apolitico), ma la fa essere un autonomo e rilevante momento del sistema politico ».
Un programma così ambizioso non poteva affidarsi solo alla comunicazione orale. Infatti Giuseppe Borrè fu tra i promotori della rivista Qualegiustizia diventata poi Questione Giustizia e che, grazie alla sua direzione, è divenuta un punto di riferimento obbligato per il dibattito sulla giustizia non solo nel nostro Paese.
Una personalità siffatta si alimenta anche, e s'iscrive, in filoni etico-politici e culturali del Paese, purtroppo, non maggioritari e dei quali sembra sbiadirsi il ricordo, ma che hanno concorso a fare un'Italia meno mediocre e opaca di quella che oggi appare dominante. La memoria corre a Salvemini, a Piero Gobetti, ai fratelli Rosselli, a Gramsci. Di questi maestri si è nutrita la formazione di Giuseppe Borrè. Ricordarlo è, per noi, anche un richiamo e un omaggio alle tradizioni migliori del nostro Paese.

3 agosto 2007 (salvatore senese)

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* Il testo è stato pubblicato il 3 agosto 2007, decimo anniversario della scomparsa di Borrè, nelle pagine culturali del Corriere della Sera, per iniziativa di un gruppo di amici di Pino e con la sottoscrizione, unitamente a Salvatore Senese (che ne è l'autore), di Giovanni Alleva, Edmondo Bruti Liberati, Vittorio Borraccetti, Eugenio Costa sj, Gian Carlo Caselli, Pasquale Colella, Giancarla Codrignani, Maria Giuliana Civinini, Fernanda Contri, Gio-vanni Maria Flick, Waldemaro Flick, Luigi Ferrajoli, Livio Pepino, Carlo Federico Grosso, Annalisa Ganzerli, Giuliano Gallanti, Natalino Irti, Paolo Martinelli, Guido Neppi Modo-na, Valerio Onida, Pierluigi Onorato, Elena Paciotti, Giovanni Palombarini, Alessandro Pizzorusso, Andrea Proto Pisani;, Marco Pivetti, Luigi Rovelli, Luigi Saraceni, Pietro Scoppola, Clara Sereni, Franco Siena, Fernanda Torres, Claudio Viazzi, Gustavo Zagre-belsky, Vladimiro Zagrebelsky. La ripubblicazione qui - come editoriale della Rivista che al nome di Borrè è legata in modo indissolubile - vuole essere anche la testimonianza che Pino e la sua vicenda sono ormai diventate punto di riferimento non solo per Magistratura democratica e per la magistratura nel suo insieme ma per l'intera cultura del nostro Paese.

 


Indirizzo:
http://old.magistraturademocratica.it/platform/2008/01/31/politica-e-terzo-potere-la-lezione-di-giuseppe-borr