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VIII. L'articolo 2 Legge Guarentigie: alcuni casi emblematici

1. Il trasferimento d'ufficio del dott. Bruno Porreca, presidente della Corte di Appello di Trieste
La vicenda che ha condotto al trasferimento d'ufficio ai sensi dell'art. 2 della legge sulle guarentigie del dott. Bruno Porreca, presidente della Corte di Appello di Trieste, presenta molteplici profili di interesse. Innanzi tutto, i contenuti della vicenda e i suoi tempi. Il 22 luglio del 2000 perveniva al Consiglio Superiore una nota con la quale alcuni presidenti di sezione della Corte di Appello di Trieste e i presidenti dei Tribunali del distretto segnalavano una serie di comportamenti scorretti del Capo di Corte. Sulla base di questa segnalazione, la prima Commissione del Consiglio deliberava, in data 25 luglio 2000, l'apertura della procedura per il trasferimento d'ufficio del magistrato formulando nei confronti del dott. Porreca le seguenti contestazioni: per aver tenuto un comportamento altamente lesivo del prestigio e dell'autorevolezza delle funzioni di Presidente della Corte D â€èœAppello di Trieste assumendo comportamenti in violazione dei propri doveri, lesivi dei rapporti di stima, fiducia e collaborazione che devono intercorrere tra il Presidente della Corte, i Magistrati del Distretto e i collaboratori amministrativi ai fini del buon funzionamento dell'ufficio.
In particolare, sulla base della segnalazione datata 18 luglio 2000 risulta che:

All'esito di un'approfondita istruttoria, il plenum del Consiglio approvava il 12 aprile 2001 la proposta di trasferimento d'ufficio della prima Commissione; con successiva delibera del 25 maggio 2001, adottata sul presupposto della precedente, al dott. Porreca venivano assegnate le nuove funzioni di consigliere della Corte di Cassazione: dieci mesi - comprensivi della pausa estiva - per il trasferimento d'ufficio di un Capo di Corte rappresentano, per l'organo di autogoverno, un vero e proprio record.
Significativi anche i contenuti della vicenda concretizzatisi, innanzi tutto, nel primo esempio concreto di reversibilità d'ufficio delle funzioni: di fronte al revival della carriera che caratterizza l'attuale dibattito sulla riforma dell'ordinamento giudiziario, va sottolineato come il Consiglio abbia - finalmente - superato l'ultimo residuo del sistema anteriore alle cosiddette leggi Breganze (n. 570/1966) e Breganzone (n. 831/1973), quel principio di irreversibilità delle funzioni in chiaro contrasto con il terzo comma dell'art. 107 Cost. ("I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni"). Come è emerso dal dibattito in plenum, le ricadute del superamento del principio di irreversibilità delle funzioni sul modo di intendere la dirigenza di un ufficio giudiziario sono evidenti: nel corso del suo intervento, il cons. Di Casola ha valorizzato "l'orientamento volto ad assegnare alla funzione dirigenziale non solo un compito di occasionale coordinamento, ma un impegno molto elevato" e, quindi, "un cambiamento di cultura anche nel considerare la dirigenza non uno status, ma un incarico, defatigante ed oneroso".
Per altro verso, la vicenda del trasferimento d'ufficio del dott. Porreca ha testimoniato la vitalità dell'art. 2 legge guarentigie che, come ha scritto su Questione Giustizia Claudio Viazzi, "assolve
a diverse finalità di controllo e tutela dell'integrità della giurisdizione, sopperendo alla cronica povertà degli strumenti di governo a disposizione del Consiglio (dai limiti insiti nella discrezionalità dell'azione disciplinare alla inefficacia dei controlli professionali, alla non temporaneità degli incarichi direttivi)".
Ma i profili di interesse della vicenda riguardante il dott. Porreca non si sono esauriti con la definzione della procedura di trasferimento. Pronunciandosi sul ricorso del magistrato, il Tar del Lazio, con ordinanza dell'11 luglio 2001, ha sollevato una questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 legge guarentigie - per contrasto con gli artt. 3, 24, 104 e 107 Cost. - nella parte in cui non prevede che il magistrato sottoposto al procedimento per trasferimento d'ufficio possa farsi assistere da un avvocato di fiducia del libero Foro. Dopo che la sentenza n. 497/2000 ha sancito il superamento per il procedimento disciplinare della riserva ai soli magistrati dell'ufficio di difensore, la Corte Costituzionale sarà, dunque, chiamata a pronunciarsi sulla medesima questione con riferimento al procedimento - amministrativo, non giurisdizionale - di trasferimento d'ufficio.
2. L'incredibile pratica relativa alle ordinanze del Tribunale di Milano sulla legge Turco - Napolitano in tema di immigrazione
Le aspre polemiche che accompagnarono le eccezioni di illegittimità costituzionale sollevate da giudici del Tribunale di Milano su alcune norme della legge Turco - Napolitano in tema di immigrazione ebbero un'eco anche in Consiglio, con l'apertura, su richiesta del cons. Gallo (di Magistratura indipendente) di una pratica, poi archiviata dal plenum il 9 gennaio 2002.
La proposta di archiviazione (rel. Viazzi) illustrava in questi termini l'origine della pratica: Con nota 8 novembre 2000 il Cons. Fabio Massimo Gallo, chiedeva l'apertura di una pratica, alla luce di numerosi articoli apparsi sulla stampa contenenti anche dure critiche, volta a verificare se alcuni magistrati del Tribunale di Milano, dott. Rita Errico, Marco Manunta e Bianca La Monica, che avevano sollevato eccezioni di illegittimità costituzionale nei confronti del D.lgs n. 286/98 (avente ad oggetto il riordino della disciplina dell'immigrazione) "provocando la circolazione sul territorio di numerosi clandestini non ancora identificati e rendendo oggettivamente impossibile la loro espulsione", avessero di fatto disapplicato una legge destinata a mantenere comunque efficacia e validità fino all'eventuale declaratoria di illegittimità "che solo il Giudice delle leggi può emettere", adottando al contempo provvedimenti "connotati da violazione di legge o errore macroscopico." Alla pratica era stato allegato l'esposto di un privato cittadino che "chiedeva l'intervento del Consiglio nei confronti dei giudici milanesi "colpevoli" di aver equiparato erroneamente gli extracomunitari ai cittadini. Dopo aver ricostruito gli aspetti salienti delle questioni giuridiche affrontate dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.105/2001 relative alle eccezioni dei giudici milanesi, la propostadi archiviazione escludeva qualsiasi profilo di abnormità o di errore macroscopico nelle ordinanze di rimessione; sulla questione specifica della liberazione dei cittadini stranieri trattenuti, la proposta così motivava:
Riguardo poi ai provvedimenti di immediata liberazione degli stranieri trattenuti disposti dai giudici, oggetto di pesanti critiche e di accuse di "disapplicazione" di una legge vigente, non può non ricordarsi che si tratta di atti consequenziali e doverosi rispetto alla doverosa sospensione dei giudizi a quibus allorch si sollevi una questione di legittimità costituzionale relativamente a norme che prevedono termini perentori per la convalida giudiziale del trattenimento dello straniero ex art. 14 D. Lgs. 286/98, soggetto che, tra l'altro, non ha commesso alcun delitto: parlare in un tal caso di disapplicazione della legge significa trascurare del tutto il meccanismo dell'incidente di costituzionalità e gli effetti della sospensione necessaria del giudizio in cui esso si verifica.
Sulla base di queste premesse, la prima Commissione aveva dunque proposto l'archiviazione della pratica:
alla luce degli accertamenti ed approfondimenti effettuati, nessuna censura può essere mossa all'operato dei magistrati milanesi, che, rivolgendosi al Giudice delle leggi per risolvere il dubbio di legittimità costituzionale relativo al D.L.vo 286/98, hanno esercitato le loro funzioni in piena conformità al ruolo assegnato dalla Costituzione Repubblicana alla giurisdizione.
Il dibattito in plenum ha visto, dopo la relazione del cons. Viazzi, l'intervento del cons. Gallo che ha criticato la proposta di archiviazione esplicitando le sue censure ai giudici milanesi nei seguenti termini, davvero illuminanti sulla sua concezione dell'attività
interpretativa e sul ruolo del giudice: "(") In primo luogo non ci si può fermare alla banale constatazione che la sentenza della Corte ha carattere interpretativo. Basta leggere la sentenza, per accorgersi come essa non sia solamente interpretativa, ma anche didascalica, nel senso che, ricorrendo ad espressioni nella sostanza pesanti - si parla di assunti "labili" e di interpretazioni restrittive "prive di consistenza" -, conferma un principio ermeneutico che dovrebbe essere a tutti noto, e cioè che di fronte ad un dubbio interpretativo, si deve scegliere quella interpretazione che risulti conforme alla Costituzione. Non si possono poi trascurare una serie di fatti, uno in particolare ricavato dalla rassegna stampa e che egli giudica assai preoccupante. In un articolo apparso l'8 novembre 2000 sul quotidiano La Repubblica, compariva, sotto il titolo â€èœUna legge bocciata con regia Md', la notizia di una riunione tenutasi presso il Palazzo di Giustizia di Milano in presenza del costituzionalista Vittorio Angelini, riunione nel corso della quale si era stabilito di sollevare le questioni di incostituzionalità che hanno dato origine al caso. L'articolo non ha provocato alcuna smentita".
All'intervento del cons. Gallo sono seguiti vari altri interventi favorevoli alla proposta di archiviazione. Il cons. Gilardi ha sottolineato come il principio della soggezione esclusiva del giudice di fronte alla legge sia "talmente forte che il giudice ha il dovere di disobbedire alla legge quando questa contrasti con la Costituzione e nessuno può contestare l'autonomia intepretativa del giudice il quale, di fronte ad un dubbio di costituzionalità di una norma, si rivolga alla Corte Costituzionale.
(") La possibilità che sia il singolo giudice a sollevare una questione di costituzionalità fa parte dell'intima essenza di uno Stato democratico fondato sulla concezione della funzione giurisdizionale come funzione diffusa e nell'ambito del cui ordinamento è previsto che l'assunzione dei magistrati sia effettuata per pubblico concorso".
A sua volta, il cons. Rossi ha espresso "la propria profonda ribellione morale di fronte al sospetto che, con un atteggiamento profondamente illiberale, si è inteso gettare su una riunione di Magistratura democratica, attentando in tal modo a diritti fondamentali che appartengono a tutti i cittadini e quindi anche a tutti i magistrati. A ciò deve aggiungere lo sdegno provocato dal fatto che un simile attacco provenga da un componente del Consiglio".
Il cons. Cassano, aderendo alla proposta di archiviazione, ha sottolineato che "si sta in effetti rischiando di scivolare su un terreno pericoloso per gli stessi principi fondamentali di una democrazia quando si cerca di trasformare l'organo di autogoverno in una specie di quarto livello di giudizio per espletare in questa sede controlli che non competono al Consiglio".
Messa ai voti, la proposta di archiviazione è stata approvata con 24 voti a favore, 1 contrario e 1 astensione.
3. Il caso Cordova
3.1. Non è esploso senza avvisaglie il disagio all'interno dell'Ufficio di Procura di Napoli, che si è espresso anche con l'invio, nell'ultimo scorcio di questa consiliatura, di un documento di molti sostituti procuratori al Csm, volto ad evidenziare inefficienze organizzative e direttive, imputabili a scelte ed omissioni del Procuratore, Agostino Cordova. E' in qualche modo la miopia della maggioranza del plenum consiliare ad aver causato una probabile degenerazione degli effetti negativi imputabili ad inadeguatezza della conduzione direttiva della Procura di Napoli e che da tempo assorbe gran parte delle energie della Prima Commissione consiliare, incapace nei lunghi mesi di preistruttoria e di riflessioni di sciogliere il preliminare nodo dell'opportunità o meno di iniziare una procedura di trasferimento d'ufficio del dott. Cordova per incompatibilità ambientale e funzionale. Soltanto nel mese di maggio la prima Commissione ha superato l'impasse della contrapposizione tra quanti erano favorevoli all'archiviazione e quanti erano favorevoli all'apertura della procedura: ha prevalso, infine, quest'ultimo orientamento, anche per la considerazione negativa delle recenti esternazioni del dott. Cordova nel corso di un'audizione in Commissione Antimafia.
3.2. Il 24 gennaio 1998 la Camera degli avvocati penale di Napoli inviò a varie Autorità, tra cui il Csm, un esposto nei confronti del Procuratore di Napoli, dott. Cordova, sollecitando espressamente una verifica sulla di lui idoneità direttiva. L'esposto si componeva dell'elencazione di numerosi episodi, indicati a dimostrazione della incapacità direttiva del dott. Cordova, senza mezzi termini accusato di non saper impiegare con la necessaria sapienza le risorse umane e di mezzi dell'Ufficio, svolgendo spesso dispendiose attività di investigazione per fatti anche in astratto connotati da particolare modestia e scarsa rilevanza penale, ma al contempo furbescamente impegnato in una sistematica attività di lamentazione per scarsità di uomini e strumenti operativi, allo scoperto fine di mascherare la propria inadeguatezza direttiva. Nel marzo del 2000 il plenum è stato chiamato a valutare una proposta di archiviazione dell'esposto, denominato "libro bianco" sulla Procura di Napoli, senza che fosse stato svolto alcun accertamento istruttorio, ma giustapponendo nella relazione di proposta ad ogni puntuale denuncia della Camera penale la replica inviata dal dott. Cordova, acriticamente accettata in Commissione. Magistratura democratica non ha mancato di esprimere il proprio dissenso sul modo con cui la Commissione ha definito la questione. Nello Rossi, nella seduta plenaria del 16 marzo 2000, ha avvertito che il libro bianco non "è una piccola bega da liquidare rapidamente, ma una questione di amministrazione della giustizia di grande importanza" ed ha rilevato come nella Procura di Napoli fosse in vigore "un modulo di organizzazione e di gestione delle risorse umane e materiali che in molti casi non appare improntato alla ragionevole proporzione che deve esistere tra mezzi impiegati e fini istituzionali da realizzare". Ha poi censurato il fatto che la Commissione non avesse dato corso a ragionevoli richieste istruttorie avanzate da alcuni suoi componenti, ma soprattutto ha evidenziato l'assenza di "una riflessione su due temi generali: il ruolo e la funzione della procedura prevista dall'articolo 2 del decreto legislativo n. 511 del 1946 in relazione ai dirigenti degli uffici giudiziari e l'ampiezza e i limiti della insindacabilità da riconoscere all'attività investigativa dell'ufficio del .. pubblico ministero".", sollecitando a ragionare sull'astratta configurabilità di una forma di abnormità dell'attività investigativa, "allorch le risorse umane e materiali mobilitate appaiano sproporzionate rispetto ai fii di giustizia perseguiti o in astratto realizzabili".
3.3. L'acuta prospettiva di valutazione non è stata raccolta dalla maggioranza del plenum e forse non è stata neanche correttamente compresa, come sembra sia avvenuto per il tipo di reazioni suscitate. Il dott. Caferra è insorto difendendo la proposta della Commissione, non potendosi accettare "censure dell'attività giurisdizionale e valutazioni politiche sulla discrezionalità dell'azione penale". Il Csm, ha proseguito il dott. Caferra, "non può certo erigersi a supremo controllore dell'esercizio dell'azione penale" ed ha messo in guardia dal pericolo di "valutazioni circa la congruità dei mezzi investigativi", invitando a "non dimenticare
i grandi meriti del dott. Cordova". Ancor pi evidente il fraintendimento
della sollecitazione di Nello Rossi nelle parole del
dott. Visconti, che ha inteso respingere "l'ipotesi che il lavoro di
una Procura possa essere valutato in termini di produttività
aziendale". Con pari confusione sul contenuto dell'indicazione
di Nello Rossi, che peraltro con opportuna cautela aveva già precisato che non intendeva sindacare il lavoro investigativo sulla base dei risultati raggiunti, il dott. D'Angelo ha giudicato estremamente pericolosa la configurazione dell'abnormità investigativa, "perch allora occorrerebbe individuare l'organo deputato ad effettuare il controllo della connessione fra l'entità del reato, l'attività investigativa e i risultati raggiungibili attraverso la stessa". Eppure era detto con chiarezza, nell'intervento di Nello Rossi, che il proposto controllo era del Csm e che lo strumento di rilevazione dell'inefficienza dovesse esser quello offerto dall'art. 2 della legge delle guarentigie!
Non si è trattato solo di uno "scatto di orgoglio culturale", come affermato dal prof. Mazzamuto, ma di un intelligente tentativo di Magistratura democratica di far maturare all'interno del Csm, chiuso nella sua maggioranza tra irrigidimenti di sapore corporativo e letture superficialmente isolate della prerogativa costituzionale dell'autonomia del magistrato, la necessaria consapevolezza sulla impossibilità di rinviare una riflessione sui contenuti e limiti di sindacato di un'attività ampiamente discrezionale quale quella dell'indagine preliminare, specie ancor prima che si disponga di una definita notizia di reato.
3.4. L'intervento di replica di Nello Rossi, durante la seduta consiliare conclusiva del 16 aprile 2000, non è servito a dissipare equivoci, forse solo strumentalmente tenuti in campo da quanti hanno così voluto celare un voto di adesione motivato pi dal desiderio di difendere la persona del dott. Cordova che dalla condivisibilità della proposta della Commissione. Nello Rossi ha denunciato l'atteggiamento "mentale tipicamente controriformistico" di quanti come Caferra e Mazzamuto hanno rifiutato la sua proposta evocando "propri fantasmi per poter pi facilmente polemizzare"; ha quindi ribadito la legittimità e necessità di "sottoporre a valutazione critica la gestione di un ufficio nella distribuzione delle poche risorse disponibili tra i diversi flussi di indagine"..", evidenziando la possibilità di giudicare a priori "abnorme un impiego di risorse rispetto ad un'ipotesi di reato configurabile in determinate circostanze".
Ed ancora Sergio Mattone, che già nella seduta del 16 marzo 2000, aveva ricordato "lo stato di tensione tra il dott. Cordovae molti magistrati napoletani", che a distanza di qualche anno è esploso ancor pi accresciuto dall'inerzia consiliare, ha denunciato che "a meno di non voler sancire una vera e propria sfera di discrezionalità incontrollata, confinante con l'arbitrio, non può"sostenersi che non sia ipotizzabile un limite, il superamentodel quale possa essere oggetto di valutazione da parte del Csm", che pure è riconosciuto come interlocutore sopraordinato nella definizione degli aspetti organizzativi degli uffici giudiziari.
Gli sforzi di Magistratura democratica sono infine risultati vani, e si è continuato ad invocare, da parte di molti, il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, come se questo si opponesse a forme di controllo sulla efficacia delle scelte organizzative degli Uffici inquirenti e non fosse esso stesso ad imporli, per ottenere la dovuta effettività, generalmente e non a sproposito ritenuta assente. Per dirla con le parole conclusive dell'interventodi replica di Nello Rossi "le considerazioni di buon senso", seppure nell'immediato non trovano il consenso di tutti e di molti, sono "destinate come sempre a prendersi la rivincita nei confronti di sia pure raffinate elucubrazioni". C'è solo da sperare che questo momento non tardi a venire e non si agevoli così la realizzazione di disegni governativi, che facendosi scudo di giusti, almeno per alcuni aspetti, rilievi critici sulla insufficienza di controlli sull'operato degli uffici inquirenti, tentano di introdurre forme di controllo, queste sì pericolosamente lesive dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura.


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