Un solo padrone


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di Marco Ramat

Quando si discusse il titolo della rivista
alcuni dei promotori dissero che QUALE GIUSTIZIA si poteva prestare ad un equivoco:
di far credere che la nostra rivista non volesse uscire dall'ambito settoriale,
se non proprio " corporativo "; come dire " Quale amministrazione della giustizia?
".
Se cosí fosse, le riserve sul titolo sarebbero giustificate;
ma certamente non è così.
Non che i problemi dell'amministrazione in senso stretto
della giustizia non ci interessino. Anzi se ne tratterà spesso; ma se ne parlerà
sempre sotto l'angolo visuale piú ampio e pi profondo dei contenuti della giustizia.
In altre parole non ci ha mai interessato n ci interessa
mai il problema della efficienza in s e per s della macchina giudiziaria.
Sappiamo infatti che l'efficienza, della giustizia è, nella migliore delle ipotesi,
un valore solo strumentale; quindi un valore neutro; ma spesso diventa di segno
negativo se lo strumento è destinato a far funzionare meglio ciò che non dovrebbe
affatto funzionare. Senza contare poi che tante volte questa giustizia (QUALE?)
sa essere perfettamente efficiente, quando vuole essere esemplare, repressivamente
esemplare. Val la pena di ricordare il " miracolo " di giudizi d'appello in
processi per reati " da contestazione " celebrati a soli due mesi dal primo
grado? D'altro canto i processi di lavoro durano anni: Ecco dunque una giustizia
efficiente là, inefficiente qua. Come mai? La domanda è assolutamente ingenua,
per noi. Ma non lo è, temiamo, per molti colleghi e per gran parte ? in generale
? degli " operatori ".
Quando si parla del preteso neutralismo del diritto e
della giustizia accade facilmente che ci si attesti nello slogan: " giustizia
di classe ", e che ci si fermi lí. Sarebbe certa mente stupido negare che, se
in massima parte la nostra giustizia è di classe, perch lo Stato è di classe,
come impronta di fondo, tuttavia si stanno dischiudendo dei varchi in questo
sistema, che potenzialmente " aprono " ad una diversa concezione.
Noi siamo cosí passatisti da credere che oggi i conflitti
nella società siano tutti riconducibili alla lotta di classe tradizionalmente
intesa. Il conflitto di fondo è ancora piú ampio: è il conflitto tra autoritarismo
e libertà, tra apparato e persona umana.
Non si capirebbe altrimenti il perch della contestazione
giovanile, in tutto il mondo.
Ed un giorno sarà fatta la storia di come lo Stato italiano
e in particolare la magistratura hanno reagito a questo fatto di statura ímmensa
che è la contestazione.
Anche ai giudici sarà chiesto conto del loro operato.

E' un po' rifacendosi a questo giudizio che si comprende
un'altra ragione della iniziativa.
E' ancora vero che la gran parte dei magistrati ha una
provenienza sociale ed economica orientata in senso borgheseconservatore; ma
le smagliature di questo tessuto sono già evidenti; chi ha avuto la possibilità
di girare da una parte all'altra del paese per dibattiti e incontri nell'ambiente
giudiziario, se ne è reso ben conto. Solo che questo fermento, specialmente
in molte regioni decentrate e in provincia, è frammentario e sfiduciato, facile
alla delusione perch si sente isolato e trascurato.
Ecco quindi un obiettivo: dar forza e conforto a questo
fermento; trasformarlo da episodio di ribellismo in impegno coerente, da velleità?rinunzia
in realizzazione concreta. Dimostrare che il giudice sperduto in un angolino
remoto d'Italia, e che ha per unica " compagnia " una o due paludate riviste
tradizionali, non è solo: non è solo quando è in bilico tra il seguire un indirizzo
tradizionale confortato da cento precedenti editi, ma che non gli appare giusto,
e il mettersi per una strada nuova, lungo la quale però potrebbe temere di perdersi
come un pioniere isolato.
Ancora; è abbastanza frequente il caso dei magistrati
che sono assolutamente " scissi "; fuori del lavoro sono persone apertissime,
curiose del mondo politico, dove vorrebbero che molte cose cambiassero; ma nel
lavoro sono chiuse, abitudinarie, rassegnate a che tutto vada com'è sempre andato
e al fatto che diritto e giustizia sono nient'altro che il braccio secolare
del " sistema ". E' non raro, infine, il caso di magistrati seriamente impegnati
nell'azione associativa, anche al di là del limite delle rivendicazioni " sindacali
", ma che nella loro giurisprudenza non traducono questo impegno. Il nostro
proposito è quello di far capire anche a questi colleghi che sbagliano a scindersi
cosí, che non si possono servire due padroni: far capire, soprattutto che i
due padroni ce li creiamo da noi, per nostra poca chiarezza, per manco di vigore.

Perch, di padroni a cui dobbiamo ubbidienza, in realtà
ce n'è uno solo: la Costituzione, i valori della Costituzione.
Non crediamo che vi siano magistrati quali consapevolmente
e volontariamente si sottraggono a questa ubbidienza creandole l'alternativa
dell'altro padrone, che sarebbe la tavola di valori dell'ancien regime.
Ma non si tratta di far processi alle persone e alle loro
intenzioni; questo non ci interessa affatto ed è fuori del nostro raggio d'azione.
Il processo che ci sta a cuore è un'altro.
E' un processo storico e politico in cui siamo immersi
anche noi come protagonisti e come oggetto, e in cui crediamo di interpretare
una parte alla quale vogliamo essere fedeli. E' il processo storico di assimilazione
profonda e capillare dei valori della Costituzione, nella magistratura e nella
giustizia. Cento volte abbiamo scritto e detto che forse non c'è nessuna legge
la quale non si presti a piú interpretazioni, e che il nostro dovere morale,
politico e giuridico è di scegliere l'interpretazione pi aderente, piú capace
di realizzare quei valori.
Questa la nostra parte come giudici; questa rivista, non
è altro che la proiezione della parte del giudice come l'intendiamo noi. QUALE
GIUSTIZIA porta con s, come connotato essenziale, la ricerca e la proposta
dell'alternativa giudiziaria per ogni problema che l'esperienza ci offre.
Ci torna in mente questo bellissimo e amaro ritratto fatto
da A. France: " Ho conosciuto un giudice austero. Si chiamava Thomas de Maulon
ed apparteneva alla piccola nobiltà provinciale. Era entrato volontariamente
nella magistratura sotto il settennato del maresciallo McMahon nella speranza
di rendere un giorno la giustizia in nome del Re. Aveva dei principi che poteva
credere irremovibili, non avendoli mai mossi. Quando si muove un principio,
si trova sempre. qualcosa sotto, e ci si accorge che non era un principio. Thomas
de Maulon teneva accuratamente al riparo della sua curiosità i propri principi
religiosi e sociali ".
Ecco perch abbiamo dichiarato " eretica
" questa rivista. Il significato etimologico di eresia è " ricerca ", " scelta
". Ma per cercare e per scegliere è necessario lo stimolo della curiosità, il
coraggio di essere curíosi. " Aveva dei principi che poteva credere irremovibili,
non avendoli mai mossi ": a quanti uomini, a quanti magistrati si può attribuire
questo stato d'animo? .

di Marco Ramat

da Quale Giustizia

01 03 1970
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