Diritto, giurisdizione e democrazia


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di Vittorio Borraccetti - congresso nazionale

1. La politicità della giurisdizione e la scelta politica di Magistratura democratica

1.1. Tradizionalmente nelle occasioni congressuali e di dibattito di Md si dà spazio all'analisi politica generale, a cui collegare i ragionamenti sulla giustizia. Per due ragioni essenziali: la prima è la consapevolezza che diritto e giustizia sono collegati all'assetto generale sociale e istituzionale, non sono neutrali rispetto ai conflitti sociali n tanto meno apolitici e a loro volta influiscono sul modo di essere della società e delle istituzioni; la seconda sta nel legame che comunque corre tra Md e la prospettiva politica definita progressista. Essendo oggi carico di fraintendimenti e insidie il tema del rapporto tra giustizia e politica, occorre spingere il ragionamento pi a fondo per verificare in che termini quel rapporto tra la politica ed Md sia attuale e legittimo. Pi volte, anche di recente, abbiamo sentito e letto dichiarazioni di uomini politici di primo piano, come gli on. Dell'Utri e Berlusconi, che accusano i magistrati di Md di perseguire una "giustizia politica"; ma al di là della grossolanità delle dichiarazioni di costoro, è stata ed è frequente la critica a Md di essere "politicizzata".

1.2. Magistratura democratica si costituì nel 1964 richiamandosi alla Costituzione e cogliendo il nesso esistente tra il riconoscimento dei diritti fondamentali di libertà, il nuovo ruolo del giudice (non pi bocca della legge ma partecipe della definizione della norma da applicare al caso specifico mediante l'interpretazione) e l'indipendenza della magistratura (questi concetti verranno poi espressi chiaramente anche nella mozione approvata per acclamazione al XII congresso nazionale dell'Anm tenuto a Gardone dal 25 al 28 settembre 1965). Dopo la scissione di fine 1969, ferma restando la denuncia della mistificazione insita nella pretesa apoliticità della funzione giudiziaria, il riferimento alla Costituzione e al ruolo del giudice si arricchì dell'attenzione ai diritti sociali e al principio di uguaglianza sostanziale stabilito dall'art. 3 capoverso; si esplicitò, inoltre, il legame con la prospettiva politica di una trasformazione dei rapporti sociali che superasse l'assetto capitalistico: ciò, si tenga presente, in una stagione - quella dell'inizio degli anni â€èœ70 - caratterizzata in generale da movimenti di contestazione dell'assetto sociale esistente. In parallelo alla polemica contro la mistificazione della apoliticità, che nascondeva e giustificava la consonanza del mondo dei giuristi e della giustizia con l'assetto sociale e istituzionale in gran parte non ancora riformato secondo i princìpi della Costituzione, si proclamò la legittimità, per i magistrati, di esplicitare le proprie convinzioni e scelte politiche. Si affermò la tesi che anche il magistrato ha il diritto - di libertà - di partecipare alla politica, anche di iscriversi al partito che preferisce, nella convinzione che ciò giova alla trasparenza dei comportamenti (essendo preferibile l'appartenenza politica dichiarata che non quella nascosta sotto il manto di una apparente apoliticità), contribuisce a rompere la separatezza dell'istituzione giudiziaria dalla società e, alla fine, si risolve in un di pi di democrazia. In quanto riferita alla funzione giurisdizionale quella politicità, svelata e rivendicata, non aveva e non ha mai avuto a che fare con la politica come conflitto tra i partiti, ma con la giurisprudenza, con l'interpretazione della legge nelle cause civili e nei procedimenti penali, senza mai superare i limiti posti dall'ordinamento. Si trattava della rivendicazione del pluralismo interpretativo, ovvero della legittimità di scelte ermeneutiche che si rifacevano ai princìpi essenziali della Costituzione soprattutto in materia di libertà e di diritti sociali. La stessa "scelta di campo", che ha finito per essere la caratteristica di Md, era strettamente legata all'art. 3 cpv Costituzione e al suo utilizzo come canone interpretativo. E' significativa in proposito la risposta di Pino Borr - nel seminario di Frascati del novembre 1992 su "Giudici e democrazia" - alla domanda sulle ragioni della nascita di Md: "da un lato il rifiuto del conformismo come gerarchia, come logica di carriera, come giurisprudenza imposta dall'alto, in una parola come passività culturale; dall'altro il sentirsi dalla parte dei soggetti sottoprotetti " come giuristi, con le risorse e gli strumenti propri dei giuristi". Non si contestava, ovviamente, che anche con riferimento ai princìpi costituzionali vi potessero essere scelte interpretative diverse; quello che si voleva, contro il conformismo giurisprudenziale favorevole all'assetto pre-costituzionale e ad un ordinamento giudiziario che limitava l'indipendenza per assicurare quella uniformità, era il confronto, la dialettica, il conflitto anche a livello giuridico. Vi era inoltre, accanto alla esplicitazione della funzione d'indirizzo politico proprio della giurisdizione, la rivendicazione (tuttora attuale) del diritto di far politica come gruppo di intellettuali, di giuristi, di magistrati, intervenendo, magari con qualche velleitarismo, nel dibattito generale in tutto ciò che aveva implicazioni con la funzione giudiziaria e con la stessa produzione normativa, anche oltre i confini del dibattito giuridico istituzionale in senso stretto, cercando a tal fine di metterci in rapporto e a confronto con la società e con le sue espressioni, fino alle pi antagoniste. Perciò ci siamo occupati pi volte, tra l'altro, di questioni politico istituzionali di carattere generale, di questioni sociali, di pace e di guerra. Anche questo far politica è sempre stato distinto dalla partecipazione al conflitto tra i partiti; piuttosto è molto simile a quell'impegno politico che si riteneva (e si ritiene?) necessario da parte di tutti i cittadini, come mezzo di partecipazione alla vita dell'intera collettività, alla politica come preoccupazione per l'interesse generale, piuttosto che come competizione per il potere. Ed anche in questo far politica siamo sempre stati capaci di elaborazioni autonome...(segue)
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26 11 2000
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