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Intervento di Giovanni Diotallevi

Questo convegno segna sicuramente un punto di non ritorno sulle riflessioni che ormai da anni si stanno facendo sul tema dell'efficienza del sistema giustizia, perché ha indicato una linea nuova, originale verso la quale dobbiamo muoverci se vogliamo uscire dall'angolo di una analisi ripiegata esclusivamente su temi autoreferenziali.

E' un segnale forte perché valorizza l'unica forza che abbiamo realmente a disposizione: quella delle idee.

E' una prospettiva che introduce nel dibattito proposte alternative ma razionali, che affrontano in modo specifico e diretto il problema dell'efficienza del processo, della tutela dei diritti e delle garanzie.
Si è creato uno spazio dove il dibattito non è "drogato" dalla presenza di progetti caratterizzati dalla contigenza, dalla specificità degli interessi, dagli obiettivi di breve periodo.

Non dobbiamo legittimare interlocutori improbabili o cercare il dialogo anche con chi non vuole confrontarsi ; spiegare, analizzare, proporre è una strada difficile, e può essere anche impervia, ma ha sicuramente il pregio di essere tracciata sui percorsi irrinunciabili della nostra Costituzione. Abbiamo scelto di intervenire sul processo, sul suo funzionamento, attraverso la chiave dell'organizzazione del sistema; non è una scelta autoreferenziale, perchè tocca gli interessi di tutti noi, magistrati, avvocati, tutto il settore del personale amministrativo, coinvolge le posizioni di imputati e vittime del reato, attori e convenuti, e quindi i diritti e le garanzie.

Siamo di fronte ad un metodo che non va alla ricerca di novità più meno "lunari" , penso per un attimo al settore penale e alla proposta Pittelli o a quella di una "devoluzione" dell'azione penale all'Avvocatura dello Stato, ma non è neppure una prospettiva minimalista , perché al contrario apre prospettive di lungo periodo.
E' l'alternativa di un intervento che incide sui tempi e sui modi del processo, al di là di fantasiose, intempestive e talora oggettivamente incomprensibili idee di riforma, caratterizzata al contrario dalla serietà delle proposte, la chiarezza degli obiettivi, la forza del confronto democratico.

La prospettiva è dunque quella di sfruttare il momento dell'organizzazione dell'ufficio non al fine dell'autoconservazione, ma per dare una lettura del processo compatibile con i valori costituzionali e in primo luogo con quello della ragionevole durata , ma non solo.

Si tratta di intervenire con una serie di operazioni esterne dirette a recuperare il controllo della giurisdizione e mantenerla nell'ambito delle compatibilità.

Certo, oggi, per quanto riguarda l'organizzazione degli uffici giudiziari, in particolare per i punti di riproduzione all'interno dell'istituzione giudiziaria del potere, c'è il rischio più che concreto , direi incombente, che queste tematiche siano l'obiettivo di interventi da controriforma.

Allora dobbiamo essere consapevoli che, probabilmente, non è questa la stagione migliore per perseguire una serie di obiettivi con ricadute sulla strutturazione interna della magistratura e sulla sua organizzazione; però allo stesso tempo è indispensabile mantenere ed alimentare questa canale di riflessione, di ricerca, di confronto. Ogni stagione ha i suoi momenti difficili: che però non è detto che debbano essere eterni.

Noi abbiamo tre criteri generali per l'interpretazione dell'organizzazione della giustizia: quello istituzionale, quello tecnico e quello strutturale. Se al primo affidiamo il momento della ricerca degli obiettivi, con il secondo e il terzo agiamo attraverso dei piani che si intersecano tra loro attraverso l'utilizzazione delle operazioni tipiche, e delle metodologie e degli strumenti tecnici, insieme alla strutturazione delle attività e delle persone che agiscono nell'organizzazione.

Per quanto riguarda il processo penale noi viviamo uno scontro tra principi e realtà. La necessità di superare questo scontro, questa dicotomia ci impone di reimpostare l'organizzazione dell'attività giudiziaria non con riferimento, o comunque non solo, all'ufficio, del p.m., o del giudice, monocratico o collegiale, ma con riferimento al processo, per ridare un'anima al processo penale.

Il vincolo formazione-organizzazione appare perciò ineliminabile , nel senso che sempre deve essere valorizzato l'aspetto organizzativo accanto all'aspetto contenutistico. In particolare non si può scindere la necessità della frequenza di corsi sul processo, sulla giurisdizione, senza affrontare, contemporaneamente, i temi , i nodi dell'organizzazione. La proposta sviluppata per il settore civile, dell'ufficio per il processo, a mio giudizio deve camminare e coinvolgere la giurisdizione nel suo complesso, anche nel settore penale, nella fase delle indagini e nel dibattimento, nella fase dello sviluppo orizzontale del procedimento che in quella verticale, adattando gli interventi ai vari gradi di giudizio.

Primo punto occorre partire da una diversa concezione ed interpretazione del sistema tabellare. L'evoluzione e la crescita del diritto tabellare sono direttamente collegate all'incidenza al suo interno non solo del principio del giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Cost), e di quello, ad esso correlato del giudice terzo ed imparziale (art. 111, comma 2 Cost.), ma anche di quello dell'indipendenza della magistratura e dell'autonomia dell'ordine giudiziario (art. 104, comma 1 Cost), e del suo autogoverno (art. 104 Cost), come del principio di inamovibilità del giudice (art. 107, comma 1, Cost.) e di quello della distinzione dei magistrati solo per funzioni (art. 107, comma 3 Cost., e, infine di quello della durata ragionevole del processo (art. 111 Cost.) insieme al principio più generale di imparzialità e buon andamento dell'amministrazione (art. 97 Cost.). L'assestamento del diritto tabellare sia per quanto riguarda i contenuti che le forme procedimentali della sua applicazione subisce dunque la variabile influenza della qualità dei rapporti tra i valori sottostanti ai principi costituzionali, con una espansione, le cui linee necessariamente ci portano a superare quella concezione strettamente difensiva , di tutela dell'indipendenza interna ed esterna del magistrato, per svilupparsi verso una prospettiva di valorizzazione dell'esercizio della giurisdizione nell'ottica complessiva di tutti i parametri costituzionali.

Nell'ottica dell'efficienza la dirigenza non può essere considerata una posizione strutturalmente apicale dal punto di vista funzionale, nel senso che non mi sembra sufficiente la capacità del singolo per irradiare di positività la struttura dell'ufficio. Se ci muoviamo all'interno di una prospettiva organizzativa allora occorre valorizzare una competenza diffusa, nel senso che la cultura dell'organizzazione deve appartenere a tutti gli appartenenti all'ufficio.

Allora sarebbe utile nell'ottica dell'efficienza complessiva dell'ufficio che ogni magistrato stili il suo progetto organizzativo all'interno del progetto tabellare, in base a criteri predeterminati ed omogenei per tutti, in modo da creare una filiera di riconoscimento non solo alla necessità dell'approccio organizzativo del proprio lavoro, ma anche all'efficienza dell'intervento dell'intero ufficio. In sostanza si tratta di armonizzare i criteri di lavoro del singolo giudice con gli obiettivi dell'ufficio di appartenenza.

Ed allora sarebbe utile verificare dopo il biennio di vigenza delle tabelle la qualità del progetto organizzativo adottato, in modo anche da sganciare l'importanza dell'acquisizione della sensibilità all'approccio organizzativo dalla necessità di frequentare appositi percorsi professionali.

Si tratta in sostanza di dare visibilità esterna a un momento dell'attività del magistrato che dal punto di vista della valutazione professionale richiamerebbe la autorelazione annuale che ogni singolo magistrato dovrebbe compilare ai fini della sua personale valutazione di professionalità.

Passando all'analisi strutturale del momento organizzativo uno dei temi, degli snodi da affrontare in modo prioritario mi sembra che sia proprio il mancato allineamento tra l'organizzazione tabellare dei giudici e quella delle cancellerie, che comporta la necessità di una consapevole determinazione della struttura del tribunale. Certo la divisione in sezioni dello stesso dipende dalla legge, ma la destinazione dei giudici appartiene al presidente. Ed allora all'interno della giurisdizione penale la distribuzione dei magistrati tra le sezioni gip e le sezioni del tribunale non potrà prescindere dalla valutazione delle percentuali di fruizione dei riti alternativi, giudizio abbreviato e patteggiamento, anche nella sua nuova dimensione allargata. Ma il ricorso ai riti alternativi dipende anche dalla tempestività e dall'efficacia della risposta del rito penale ordinario, dalla necessità di individuare criteri di collegamento tra il processo, il p.m. che ha esercitato l'azione penale e il g.i.p. o il tribunale che tratterà lo stesso, in modo tale che sia lo stesso p.m. che ha eseguito le indagini ad essere presente in udienza, dalla possibilità che lo stesso p.m. sia affiancato sempre dallo stesso VPO, dalla possibilità di prevedere un calendario di udienza , ove sia presente una udienza di smistamento e quella per l'audizione dei testi, dalla capacità di predisporre strumenti e supporti informatici anche per la redazione delle sentenze in modo contestuale, con conseguente sgravio delle cancellerie dagli adempimenti post dibattimentali, dall'opzione di non programmare le udienze secondo le esigenze dei magistrati.

Ma riguarda anche la necessità di analisi di interventi deflattivi all'interno del processo, alla possibilità di canalizzazione ed ottimizzazione del lavoro, alla possibilità di conoscenza dei precedenti difformi all'interno della stessa sezione, anche in funzione dell'applicabilità dell'art. 47 quater dell'o.g.

E proprio in tema di interventi deflattivi vorrei ricordare le proposte del gruppo penale di Md con riferimento alla fruibilità del processo nell'ottica della ragionevole durata, avanzate in materia di notificazioni, di nuovo regime delle nullità, di riconfigurazione degli adempimenti di cui all'art. 415 bis c.p.p.,di disciplina della posizione del contumace, dell'irrilevanza penale del fatto, dell'istituto della prescrizione, secondo una linea di maggior rigore inaugurata dalla stessa giurisprudenza della Cassazione,solo per fare qualche esempio. Ma una valutazione di come l'organizzazione incida sulla durata del processo emerge dall'esame dei differenti tempi di durata del processo in Cassazione nel settore civile (32 mesi per la sua definizione) e nel settore penale ( 7 mesi) , da cui può desumersi l'importanza che ha avuto la creazione della Settima sezione penale nella diminuzione del carico delle pendenze dei ricorsi e nello smaltimento degli stessi , sotto il profilo dell'inammissibilità (vedi nota 1).

Nel settore penale, dunque, dei 48019 processi definiti nel periodo giugno 2002 - giugno 2003 il 65% è stato dichiarato inammissibile (il 50% circa dalla settima sezione), il 15% è stato rigettato mentre soltanto il 17% dei ricorsi ha visto un parziale o totale accoglimento, attraverso l'annullamento totale o parziale del provvedimento impugnato; il residuo 3% riguarda questioni di giurisdizione o competenza. Se si considera che soltanto per una percentuale ridotta delle sentenze d'appello viene proposto ricorso per cassazione (ed anche nel settore civile i processi che arrivano in cassazione rappresentano una quota mediamente pari al 3,5% di quelli decisi in primo grado) si può trarre una considerazione, la giurisdizione di merito, funziona dal punto di vista sostanziale in modo soddisfacente, nel merito le soluzioni adottate sono corrette in larga misura e condivisibili, il vero problema è la durata del processo.

Nel settore civile il carico complessivo dei processi è costituito anche da ricorsi avverso provvedimenti amministrativi, in particolare le contravvenzioni relative alle violazioni del codice della strada e a violazioni depenalizzate; questo gruppo di ricorsi rappresenta il 5% del carico complessivo.

Provvedimenti di carattere organizzativo per ridurre i tempi di definizione dei processi nel settore civile potrebbero riguardare le modalità procedimentali di trattazione dei ricorsi manifestamente infondati, attraverso una più pregnante utilizzazione della procedura in camera di consiglio ed agire, soprattutto sullo schema di motivazione, in particolare nelle cause seriali, magari attraverso il richiamo al precedente.

Un particolare settore di intervento potrebbe essere quello delle sentenze civili inappellabili, ma che sono attualmente ricorribili in cassazione per violazione di legge (tra l'altro le sentenze del giudice di pace di valore inferiore a due milioni, o in materia di opposizione a ordinanza ingiunzione (molte relative a violazioni del codice della strada), sentenze rese in materia di opposizione ad atti esecutivi, sentenze pronunziate dal tribunale in materia di opposizione ai decreti prefettizi di espulsione degli stranieri extracomunitari, decreti camerali). In tutti questi casi il legislatore, per esigenze di celerità ha escluso l'appellabilità della sentenza rendendola così automaticamente impugnabile in cassazione. Tuttavia mentre da un lato il mero ricorso per cassazione per violazione di legge non risponde completamente alle esigenze di garanzia del doppio grado di giudizio, l'afflusso di questa serie di ricorsi bagatellari rappresenta di fatto un inutile ingolfamento del lavoro della Corte. Questo tipo di processi, al contrario, mentre rappresentano un ostacolo di rilievo concentrati su un unico ufficio giudiziario, come la cassazione, rappresenterebbero un incremento sostanzialmente ininfluente se distribuiti tra le varie corti d'appello. Vi sono poi i c.d. tempi di attraversamento che riguardano il passaggio del processo (del fascicolo) da una stanza all'altra dello stesso ufficio. E che non sono presidiati né dal giudice , né dalle parti. Su questi si può e si deve intervenire. Ad esempio in Cassazione, dopo la decisione in camera di consiglio, per la pubblicazione della sentenza si aspettava prima la massimazione della stessa da parte dell'ufficio del Massimario. Decisione che ritardava di almeno sei mesi la pubblicazione del provvedimento. Finalmente si è deciso di invertire l'ordine dei fattori, la massimazione interverrà dopo la pubblicazione, con un notevole risparmio sui tempi di definizione del processo. Altra misura allo studio e di prossima applicazione si spera. Eliminazione della fase della c.d. classificazione del ricorso, per la destinazione dello stesso alla sezione. Attività compiuta dai magistrati del Massimario, assolutamente burocratica, che comporta almeno sei mesi di tempo per il suo espletamento. Di fatto ripetuta poi nella sezione al momento dello spoglio per la formazione dei ruoli d'udienza. Con la sua abolizione vi è la prospettiva di utilizzare i magistrati del massimario in modo finalizzato ad una applicazione più pregnante dell'art. 375 c.p.c. affidando a personale di cancelleria professionalmente attrezzato la classificazione dei fascicoli, dopo l'indicazione da parte dello stesso ricorrente della sezione di destinazione. Più che un embrione di ufficio per il processo potrebbe essere così realizzato sotto questo profilo in cassazione.

Infine un'ultima considerazione. Credo che un ufficio per il processo debba farsi carico anche dell'effettive possibilità di accesso dei cittadini, dei fruitori del servizio giustizia, e , in particolare delle vittime del reato allo stesso servizio. In questo senso sarà necessario prevedere un ufficio di prima accoglienza, già presente in alcune realtà dei Tribunali per i minorenni.Uno sportello unico dove fornire informazioni minime ma indispensabili, dalla localizzazione degli uffici, alle modalità di presentazione delle denunce, fornendo informazioni in modo comprensibile, dando suggerimenti e indirizzi utili. D'altra parte credo che al sistema giustizia non basta essere giusto. La sua credibilità passa anche attraverso la capacità di promuovere l'accesso degli utenti ed improntare l'organizzazione degli uffici alla qualità dei servizi.

Sono proposte, sicuramente parziali e perfettibili, ma importante è partire da questa occasione per assumere anche per il settore penale, da parte di tutti, un impegno chiaro in questa direzione , dove senza cedere a logiche di parte, ognuno di noi può riaffermare il proprio ruolo istituzionale.

Nota 1:
Rispetto al periodo precedente, nel periodo 2002 - 2003 sono aumentati del 6% i processi sopravvenuti (da 46488 a 49372) ma è aumentata nella stessa percentuale il numero dei processi definiti (48.019 rispetto ai 45379).

Le pendenze sono quindi aumentate del 5% (da 28087 a 29440).

Deve sottolinearsi come l'uso distorto del ricorso per cassazione emerga in maniera inequivocabile da un altro dato, relativo al settore penale e cioè che oltre il 6% dei ricorsi per cassazione in materia penale riguarda processi definiti con il patteggiamento cioè con pena applicata a richiesta delle parti ai sensi dell'art. 444 c.p.p.. 4753 di questi 5594 sono dichiarati inammissibili , cioè circa l'85%.

Deve essere sottolineato che un consistente balzo verso l'alto, anche se l'incidenza statistica sulle sopravvenienze è pressoché nulla, hanno avuto le richieste di rimessione dopo le modifiche apportate all'istituto dalla legge 7 novembre 2002 n. 248. la c.d. legge Cirami: sono state 53 dall'inizio del 2002 fino all'entrata in vigore della legge e 62 da tale data alla fine dell'anno (poco meno di due mesi). Nell'anno successivo, al 20 ottobre 2003, ne risultavano presentate 146, rispetto, ad es., alle 43 dell'intero 2001.

Seminario di Bologna "Ufficio per il processo" - giugno 2004


Indirizzo:
http://old.magistraturademocratica.it/platform/2007/07/16/intervento-di-giovanni-diotallevi